Tre, numero (affatto) perfetto
Se il dubbio – sapientemente alimentato dalla solita campagna di marketing furbescamente avvolta nel mistero – consisteva nel sapere quanto questo 10 Cloverfield Lane di Dan Trachtenberg fosse legato al Cloverfield di Matt Reeves (2008), ebbene il grado di parentela è assolutamente aleatorio. A tal punto da poter essere ricondotto al solo nome di J.J. Abrams, non casualmente produttore di entrambi i lungometraggi. Il quale Abrams, anche in questa occasione, non si sottrae alla propria fama di abilissimo rimescolatore di ovvietà, capace di pescare solo all’interno del suo ridottissimo immaginario cinematografico personale, confinato in quegli specifici riferimenti agli anni ottanta (Spielberg, Carpenter) durante i quali si è, evidentemente, formato. Come ovvio neutralizzando i vari stilemi privandoli di qualsiasi carica potenzialmente innovativa se non addirittura eversiva.
Innanzitutto c’è da specificare che 10 Cloverfield Lane è girato in modo classico, senza found footage e tentativi di teorizzare sulla ripresa in soggettiva. E il mostro, vero o presunto, è semplicemente l’essere umano. Ed è appunto sotto questo profilo che il film dell’esordiente Dan Trachtenberg gioca il suo unico asso a disposizione, ovvero la descrizione ambigua del personaggio di Howard, interpretato dal sempre eccellente John Goodman. Il motivo di suspense che sorregge in parte il lungometraggio risiede proprio nella precarietà estrema della situazione – cosa è accaduto fuori, mentre i tre personaggi, Howard stesso, una ragazza (Michelle) ed un ragazzo (Emmett), si trovano rinchiusi nel bunker sottostante la fattoria di Howard – e soprattutto il mistero che avvolge il character dello stesso Howard, paranoico aguzzino o Cassandra vaticinante sciagure che si stanno puntualmente avverando? Ci guarderemo bene, chiaramente, dallo spoilerare le due o tre sorprese che rendono il film appena degno di essere visto. Tuttavia si può affermare che il claustrofobico thriller formato kammerspiel a tre voci – almeno per la maggior parte della sua durata – non esce da schemi precostituiti, privandosi del tutto sia di qualsiasi lettura generazionale – i due giovani Mary Elizabeth Winstead, da Abrams eletta copia sbiadita dell’eroina al femminile in stile Sigourney Weaver di Alien e l’opacissimo, nella circostanza, John Callagher Jr. della serie televisiva The Newsroom versus il presunto orco John Goodman – che soprattutto politica, con una possibile critica sul conservatorismo ad oltranza e sulla paura dell’esterno che nell’occasione diviene persino istanza giustificata da un epilogo assolutamente da dimenticare nella sua prevedibilità. Del quale riveleremo solamente il fatto che attesta, in modo banale e didascalico, la compiutezza del percorso pressoché inevitabile di crescita da parte di Michelle/Mary Elizabeth Winstead.
Al tirare delle somme 10 Cloverfield Lane rimane un lungometraggio perfettamente inserito nella deludente medietà della filmografia firmata, da produttore o regista, Abrams; fatalmente strabica nel suo ostentato guardare assai più al responso del botteghino che alla qualità intrinseca del prodotto cinematografico. E il sapore in bocca dello spettatore resta quello, oltremodo amaro, della nostalgia per i bei tempi andati di un cinema in grado di terremotare davvero lo status quo, non di confezionare solamente buone occasioni perdute a ripetizione. Sulle quali, purtroppo, non vale la pena nemmeno spendere troppe, inutili, parole.
Daniele De Angelis