Tra ‘illusione’ artistica e disincanto
Esistono dei momenti in cui guardando uno spettacolo o un film, sorge spontaneo domandarsi cosa ci sia dietro, come gli artisti (non solo gli interpreti, ma anche vi lavora a un progetto sin dalle origini – come la scrittura originale o l’adattamento) riescano a creare ‘la grande magie’. Eduardo De Filippo aveva deciso di affrontare il ‘classico’ tema – e al contempo annosa questione – del rapporto tra realtà, vita e illusione in una commedia composta da tre atti, dove il Professor Otto Marvuglia fa ‘sparire’ durante uno spettacolo di magia la moglie di Calogero Di Spelta per consentirle di fuggire con l’amante. In più fa credere al marito che potrà ritrovarla solo se aprirà, con totale fiducia nella fedeltà di lei, la scatola in cui sostiene sia rinchiusa. Alla fine la donna ritorna pentita, ma il marito si rifiuta di riconoscerla, preferendo restare ancorato all’illusione di una moglie fedele custodita nell’inseparabile scatola.
Ci appare molto interessante che un’artista come Noémie Lvovsky abbia deciso di ispirarsi (liberamente) a questo testo poco rappresentato dell’artista napoletano (scritto nel Dopoguerra), per dar vita a una sua visione de La Grande Magie, utilizzando il registro della commedia musicale. Il tutto decidendo di esserci in vari ruoli: quello di co-sceneggiatrice insieme a Florence Seyvos e Maud Ameline, regista e (credibile) interprete.
Coerentemente con la fonte d’ispirazione, il lungometraggio si articola in tre atti adattandosi giustamente al linguaggio cinematografico, con un ritmo per cui tutto ‘scivola’ in maniera godibile, comprese alcune riflessioni che arrivano come frecce dalla punta amara – «Sono un uomo felice: non mi faccio illusioni, non mi aspetto sorprese dalla vita e non mi fido di nessuno».
Siamo negli anni ’20. All’hotel Métropole, un’ampia dimora – apparentemente isola felice ai bordi del mare e della foresta -, ci sono i soliti villeggianti del periodo estivo (qui il riferimento alla borghesia). La loro routine viene spezzata da uno spettacolo di magia messo in scena da una piccola compagnia che arriva a bordo di una roulotte bohémienne, composta da un professore (Sergi López), la sua assistente e compagna Zaïra (la stessa Lvovsky) e una piccola famiglia di complici: Gabriel (François Morel) e i suoi figli Arthur (Damien Bonnard) e Amélie (Rebecca Marder). Nel corso di un numero di sparizione, una cliente, Marta (Judith Chemla) scappa mossa, molto probabilmente, da un desiderio che covava da tempo a causa della forte e opprimente gelosia del marito Charles (Denis Podalydès). Gli attori sanno e, consci del motivo, le reggono il gioco; al contempo il professore sembra voler mettere alla prova il marito disperato (qui la forte suggestione eduardiana): «Se crede in lei, la troverà in questa scatola. Se non ci crede, non la troverà mai».
La vita nel frattempo scorre, assistiamo a un dramma reale e il marito ferito decide di seguire la compagnia teatrale, verso cui diventa molto generoso ‘abbagliato’ dalla loro bravura di illusionisti. Il resto ci auguriamo che possiate vederlo coi vostri occhi in un festival o se trova spazio distributivo nelle nostre sale perché è molto stimolante osservare sia come la Lvovsky tratti la questione del rapporto arte-illusione-vita sia come si sia rapportata con un maestro del nostro teatro.
Coinvolgente l’intuizione di inserire parti cantate e ballate (musica composta da Feu! Chatterton e l’eccellente coreografia messa a punto da Caroline Marcadet). Con la velocità di quei teli che usano i maghi per creare la magia, lo spettatore si ritrova coinvolto in questo tourbillon, ritrovandosi a riflettere su temi esistenziali come la vita, la morte, l’amore, il tempo…
La Grande Magie è stato insignito del Premio Foglia d’Oro del pubblico alla 14esima edizione di France Odeon.
«Questo ho voluto dire, che la vita è un giuoco, e questo giuoco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede. Ed ho voluto dire che ogni destino è legato al filo di altri destini in un giuoco eterno: un gran giuoco del quale non ci è dato di scorgere se non particolari irrilevanti».
Eduardo De Filippo
Maria Lucia Tangorra