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La Cache

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VOTO: 7

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C’è una scena in particolare che, in tutta questa 75° edizione del Festival di Berlino, verrà ricordata come particolarmente poetica e contemplativa: la scena in cui un nonno e il suo nipotino (rigorosamente ripresi di spalle) si accingono ad affrontare un lungo viaggio a piedi, camminando fianco a fianco e fischiettando. Tale scena, dunque, fa parte del lungometraggio La Cache, ultima fatica del regista svizzero Lionel Baier, tratta dal romanzo autobiografico “Il Nascondiglio” di Christophe Boltanski e in corsa per l’Orso d’Oro a questa 75° Berlinale, appunto.

La Cache, dunque, è ambientato a Parigi in un periodo particolarmente importante per la Francia (e non solo): il Maggio del 1968. Numerose sono in questi giorni le rivolte studentesche per un paese libero, Charles De Gaulle rischia di doversi dimettere, si guarda al futuro e, allo stesso tempo, tornano in mente momenti dal passato. Al contempo, un bimbo di nove anni (come specificato all’inizio, proprio l’autore del suddetto romanzo, sebbene in tutto il film non venga mai fatto né il suo nome, né quello dei suoi famigliari) trascorre alcuni giorni nell’appartamento dei nonni, qui trattato quasi alla stregua di un vero e proprio personaggio, dal momento che i suoi genitori sono impegnati nelle suddette manifestazioni. Insieme a loro vivono i due zii paterni – uno artista visivo, l’altro intellettuale e linguista – e la bisnonna di Odessa, che ancora prova una forte nostalgia per la sua città d’origine.
La quotidianità dei protagonisti, dunque, procede secondo una routine a cui tutti, in un modo o nell’altro, sono affezionati, al punto che nessuno è disposto ad abbandonare l’appartamento (che, tra l’altro, ha anche una versione “mobile”, ossia la macchina di famiglia), sentendosi lì protetto e al sicuro. Un evento inaspettato, però, sta per accadere. Un nuovo “ospite” sta per bussare alla porta. E così, dunque, questo piccolo e interessante La Cache vede principalmente due ambientazioni ulteriormente valorizzate dalla fervida immaginazione del bambino, costantemente sottoposto a numerosi stimoli grazie alle vivaci menti che abitano casa sua.
Ciò che maggiormente colpisce di questo lungometraggio di Lionel Baier, dunque, è un tono quasi favolistico e (volendo proprio esagerare) leggermente a cavallo tra il surreale e l’onirico, ove una messa in scena che si svolge prevalentemente in interni (fatta eccezione, appunto, per la scena menzionata all’inizio e i brevi momenti nel cortile della casa), i cui colori accesi contribuiscono a conferire personalità sia ai personaggi che all’appartamento, si è rivelata una soluzione interessante e appropriata, sebbene non troppo originale (impossibile non pensare, ad esempio, al cinema di Jean-Pierre Jeunet o di Michel Gondry).
Ma sta bene. D’altronde, considerando l’intera filmografia di Lionel Baier dobbiamo comunque riconoscere che il presente La Cache è, probabilmente, uno dei suoi lungometraggi più interessanti, che rispetto ad altre sue opere presenta indubbiamente una personalità ben più spiccata. Sarà sufficiente questo per contendersi l’ambito Orso d’Oro? La concorrenza è sicuramente molta, e anche molto forte. Alla giuria l’ardua sentenza!

Marina Pavido

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