Sempre più in alto
Anteprima nazionale alla presenza del regista al cinema Barberini di Roma per Jurek, il documentario di Paweł Wysoczański distribuito dalla Mescalito Film; il film, realizzato nel 2014, narra la storia di Jurek, l’alpinista polacco Jerzy Kukuczka, che negli anni Ottanta era considerato il diretto rivale di Reinhold Messner.
Nato da una famiglia operaia di Katowice, è attratto dalle scalate e dalle montagne fin da bambino, al punto da marinare la scuola per andare su in collina a camminare; dopo il diploma, per guadagnare, si è inventato, con i suoi compagni di scalata, un lavoro come imbianchino volante, salendo sulle ciminiere delle fabbriche con le corde. D’altronde, nella Polonia di quegli anni, molto povero dietro la Cortina di Ferro, non esistevano strutture per dedicarsi all’alpinismo; Jurek e i suoi amici erano solo un gruppo di pazzi visionari che voleva conquistare il cielo. Ma la passione e la forza di volontà smuovono le montagne (in questo caso, portano Maometto alla montagna): tra la fine degli anni Settanta e tutti gli anni Ottanta, Kukuczka farà dell’alpinismo uno sport e un orgoglio nazionale, in un rapporto di mutua strumentalizzazione con la propaganda politica.
In pochi anni, Jurek ha scalato tutti gli Ottomila, il secondo dopo Messner a conquistarli, ha aperto diverse nuove vie e ha portato a compimento ben tre prime assolute invernali sulle cime di Dhaulagiri, Kanchenjunga e Annapurna; ha perso la vita in circostanze mai chiarite del tutto, un rampone perso, una corda spezzata, durante la sua diciottesima spedizione, sulla parete Sud del Lhotse, nell’ottobre 1989.
Wysoczański mescola con maestria documentario e docu-fiction, utilizzando rari materiali provenienti dagli archivi privati della famiglia e della televisione polacca ed affascinanti ricostruzioni di finzione dell’infanzia di Jerzy; alterna altresì immagini attuali delle montagne nepalesi alle testimonianze della moglie, dei compagni di spedizione, di altri alpinisti. Tra gli altri, il regista ha intervistato il suo rivale diretto Messner, che nonostante sia stato il primo a conquistare tutti gli Ottomila dichiara di considerare Jurek l’alpinista più forte della sua epoca, quando scalare una montagna era più di uno sport, ma piuttosto una sfida con se stessi e con la vetta; se oggi, grazie anche alla tecnologia moderna, si cerca la via più semplice, Kukuczka nelle sue imprese ha sempre preso la più difficile, alzando l’asticella sempre più in alto.
Jurek, per certo verso, ha vissuto due vite parallele: quella di Jerzy, operaio polacco della Slesia con moglie e due figli, e quella di Jurek, lo scalatore che tutto il mondo ammira, forte, determinato, a tratti anche cinico. Ma la montagna è un mondo a sé, e lassù vigono leggi diverse, come differente è la morale; la sopravvivenza è il fine sotteso al raggiungimento della vetta, e questo, a volte, comporta scelte al limite. Grazie alle testimonianze d’epoca dello stesso Kukuczka, Paweł Wysoczański ci mostra un’immagine di Jurek a tutto tondo, ricongiungendo le due rette parallele della sua vita e definendo così l’uomo dietro lo scalatore, con la sua passione, la sua strenua motivazione nel superare le difficoltà fisiche, come anche quelle economiche tipiche dell’alpinismo polacco degli anni Ottanta (tutt’altro che raro, il contrabbando illegale per sovvenzionare le spedizioni, compreso il pagare il dazio alle autorità per il permesso a scalare). Jurek racconta la storia di uno scalatore eccezionale ma al contempo è uno spaccato su un’epoca che oggi sembra lontana ma che è rimasta nel cuore di ogni cittadino polacco: quella in cui il comunismo sovietico imperava, anni in cui la Polonia, dietro la Cortina di Ferro, ha conosciuto una forte depressione economica e disordini sociali che hanno portato, nel 1981, all’instaurazione della legge marziale. In questo clima, i successi di Kukuczka erano l’orgoglio della Nazione, e l’alpinismo uno strumento per la propaganda; simbolico, se vogliamo, che la morte di Jurek sia avvenuta nell’ottobre 1989, neanche un mese prima della caduta del Muro di Berlino, ultimo baluardo della Guerra Fredda: il mondo ha iniziato a cambiare ma Jerzy, uomo caratterialmente tradizionale, del patriarcato tipico della Slesia, ha scalato la sua ultima montagna, quella verso il Cielo, senza vederlo.
Michela Aloisi