Un’epopea iniziata nel porto di Genova e approdata al set di Cabiria
I documentari, specie quelli orientati a riscoprire pagine importanti della Storia del Cinema – e più in particolare del cinema italiano -, sono tra le opere che si stanno rivelando più appaganti per il cinefilo, all’interno di questa Festa del Cinema di Roma 2023. Ci è capitato così di imboccare un filotto a dir poco meraviglioso, in uno dei pomeriggi festivalieri trascorsi alla Casa del Cinema: prima Il ritorno di Maciste diretto da Maurizio Sciarra e a seguire Lui era Trinità di Dario Marani. Soffermiamoci al momento sul primo titolo, visione resa sapida non soltanto dai contenuti e dal prezioso materiale d’archivio ma anche dalla forma gradevole ed eccentrica scelta per l’opera.
Il mito di Cabiria è vivo più che mai. A ricordarcelo ci aveva pensato di recente un altro eccellente documentario, Pastrone! di Lorenzo De Nicola. Lì tuttavia il nucleo del discorso era costituito dall’ingegno multiforme di colui che questa pellicola, divenuta una pietra miliare del cinema muto, l’aveva diretta. Il ritorno di Maciste prende direzioni forse ancora più eccentriche (soprattutto a livello formale, con personaggi che entrano ed escono dallo schermo come in una fantasia di Maurizio Nichetti) ma pone al centro del racconto il protagonista, uno dei primi “forzuti” della settima arte, ovvero il ligure Bartolomeo Pagano. Peraltro in modo tale da far emergere, accanto all’aneddotica più gettonata inerente a tale figura, anche sfaccettature inedite o comunque meno note. Del resto, così come Dante per la Divina Commedia aveva trovato in Virgilio un appiglio eccezionale, anche il regista Maurizio Sciarra per questo suo viaggio nel tempo ha fatto affidamento su guide superbe; a partire naturalmente da Steve Della Casa, il sodale più importante, non solo in quanto grande conoscitore della materia ma anche per l’assoluta complicità dimostrata nel ricercarne e divulgarne i risvolti più sfiziosi; e poi, assieme ad altri esperti non meno validi, un ineccepibile Giordano Bruno Guerri, pronto a sviscerare ogni aspetto della controversa collaborazione tra due geni dall’indole per molti versi assai distante, ossia Pastrone e D’Annunzio.
Non a caso le riprese effettuate specificamente per il documentario, montate assieme a spezzoni di vecchi film (non solo Cabiria, ma anche altri capitoli della fortunata saga di Maciste, che prima di essere ripresa nel secondo Dopoguerra coi nuovi protagonisti del “peplum” aveva spopolato in Italia tra gli anni ’10 e ’20 del Novecento) con quello spirito un po’ sbarazzino che accompagna piacevolmente lo spettatore nella visione, spaziano tra luoghi suggestivi come il Museo del Cinema a Torino, il Porto di Genova e, proprio per quanto riguarda la parentesi dannunziana, il Vittoriale degli Italiani sul Garda. Filo conduttore è naturalmente la figura tutta da riscoprire di Bartolomeo Pagano, lo scaricatore di porto che nelle vesti di “gigante buono” seppe diventare una delle più importanti star del muto. E sempre a proposito dell’aura magica che si percepisce nell’ispirato lavoro di Sciarra, va naturalmente citato per i divertenti e così creativi segmenti da docu-fiction l’apporto di Giuseppe Abbagnale, alter ego contemporaneo del Maciste ligure, visibilmente partecipe e divertito in ognuno dei siparietti interpretati per l’occasione sul grande schermo.
Stefano Coccia