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Julie Keeps Quiet

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VOTO: 8

Una scelta al tie-break

Bisognerà attendere aprile 2025 e il termine delle votazioni popolari per scoprire a quale dei film in nomination andrà il Premio LUX, il prestigioso riconoscimento assegnato annualmente dal Parlamento Europeo a una pellicola prodotta nel Vecchio Continente. Tra i cinque candidati di questa stagione figura anche Julie Keeps Quiet di Leonardo van Dijl, da noi visto e apprezzato nel corso della 25esima edizione del Festival del Cinema Europeo, laddove è stato proiettato dopo avere ben figurato agli occhi del pubblico e dagli addetti ai lavori in occasione delle partecipazioni negli scorsi mesi alla Semaine de la Critique di Cannes, nel concorso di Alice nella Città della Festa del Cinema di Roma e oltreoceano in quel di Toronto nella sezione Centrepiece. Un cammino di tutto rispetto, questo, a conferma delle indubbie qualità di un’opera prima scritta, diretta e interpretata da un regista e da un’attrice, Tessa Van den Broeck, dei quali sentiremo sicuramente parlare da qui ai prossimi anni. Questo per dire che indipendente dalla vittoria o no del premio, i meriti del film, di chi lo ha realizzato e di chi vi ha preso parte resteranno.
Al suo primo lungometraggio, il giovane regista belga che si era già fatto notare sulla scena internazionale nel 2020 con il cortometraggio Stéphanie, offre un ritratto intimo e ben riuscito di una giovane atleta alle prese con una scelta dolorosa. Il suo nome è Julie ed è una giocatrice di punta di un’accademia di tennis di alto livello. La sua esistenza ruota intorno alla passione per questo sport. Quando il suo allenatore finisce sotto inchiesta e viene improvvisamente sospeso e poi licenziato in seguito al suicidio di una giovane giocatrice, l’intero club è chiamato a testimoniare, per cercare di capire, ma lei preferisce mantenere tacere a riguardo. Il suo silenzio lascia spazio a ogni tipo di interpretazione, anche se lo usa per preservare le forze che vuole indirizzare verso il suo gioco e per le sue ambizioni, finché la tempesta infuria e le condizioni non sono mature per lasciar spazio alla parola.
Nel raccontare questa vicenda assai complessa l’autore, che ha firmato la sceneggiatura a quattro mani con Ruth Becquart, prende tutti in controtèmpo e lo fa con delle scelte che vanno efficacemente in una direzione opposta e contraria a quelle più logiche e scontate in film come il suo. Utilizzando il gergo della disciplina chiamata in causa, van Dijl mette a segno una serie di ace al primo servizio e degli smash sulle righe che consentono all’opera, sia tecnicamente che narrativamente, di portare a casa il match in due set a nostro avviso davvero ben giocati. Il cineasta di Kortrijk dimostra in fase di messa in quadro di avere le idee molto chiare e una grande maturità stilistica, pregi che gli hanno consentito di dare continuità e forza a un lungometraggio d’esordio che a dispetto del silenzio assordante che pervade l’intera timeline ha tantissimo da mostrare e da dire. Sul piano visivo Julie Keeps Quiet si caratterizza per l’utilizzo prevalente di una macchina da presa fissa e del fuoricampo, concedendosi nei 97 minuti a disposizioni solo rarissimi movimenti. Scelta assolutamente controtendenza rispetto a quella alla quale siamo abituati quando si tratta di sport-drama e di storie specificatamente ambientate nel mondo del tennis, laddove la cinepresa viene continuamente sollecitata per stare dietro alle dinamiche e ai rimbalzi della pallina. Qui invece van Dijl preferisce la stasi alla cinetica e una regia rigorosa e geometrica per accompagnare quello che prima di essere una pellicola sportiva è un doloroso capitolo di un romanzo di formazione.
Il baricentro del racconto si sposta di riflesso sui tumulti e la lotta interiore della protagonista per offrire un’angolazione funzionale sulla storia di un’adolescente e per parlare del mondo in cui vive e viviamo, ma soprattutto di tematiche ultracontemporanei e dal peso specifico rilevante come l’abuso, la dominazione e il controllo che possono sorgere nello sport ad alto livello e anche fuori dai campi da gioco. A un certo punto si arriva persino a dimenticare del contesto, della competizione e della disciplina agonistica per focalizzarsi sulla psicologia del personaggio principale, interpretato con grandissima intensità e bravura da una giovane tennista al suo primo ruolo sullo schermo, ma che ha dimostrato di avere talento da vendere a tantissime colleghe con più esperienza di lei.

Francesco Del Grosso

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