Una voce senza tempo per una vita senza eguali
A 78 anni, Joan Baez gira il mondo con il suo Fare Thee Well Tour; capelli argentati, la voce dell’usignolo di Woodstock ha assunto tonalità più calde e profonde senza perdere d’intensità e colore. Un tour d’addio infinito, visto che nuove date di concerti sono previste ancora oggi; a 83 anni, e con più di 60 anni di carriera alla spalle, la cantante folk continua ad incantare il suo pubblico, perchè la musica non ha età.
Il film-documentario di Karen O’Connor, Miri Navasky e Maeve O’Boyle passato a SEEYOUSOUND 2024 mostra un ritratto autentico della Baez, mettendo insieme presente e passato, intrecciando le immagini del tour di addio con filmati inediti di ieri e di oggi, registrazioni audio e video raccolte dalla stessa cantante nel corso degli anni, finanche i suoi disegni che prendono vita per raccontare il proprio problema di multipersonalità, dipinte ciascuna come animale, dal leone al lupo al cerbiatto e altri ancora. Un ritratto, quello descritto in Joan Baez – I Am a Noise, schietto e decisamente intimo, in cui è la cantante stessa a raccontare la sua vita leggendaria, i suoi incontri decisivi, la famiglia, gli amori importanti, la musica come denominatore comune.
Quasi due ore di spettacolo che volano tra le note dei suoi concerti del tour dell’addio (ma in realtà è stato solo un arrivederci) del 2018 e quelle ripescate dal passato, dagli esordi al Club 47 di Cambridge ai duetti con la sorella Mimi durante le gite in famiglia, sino a quelle del suo successo planetario; la voce di Joan canta e racconta, la musica è il suo leit motiv che ha accompagnato la sua vita intensa, come il suo attivismo politico degli anni Sessanta. Ma la coscienza sociale in lei nasce prima della musica; sempre in giro per il mondo per il lavoro del padre, il fisico Albert Baez, durante la permanenza della famiglia in Iraq nel 1951, a soli dieci anni viene colpita della povertà e dalle condizioni di vita della popolazione di Bagdad; la piccola Joan è una bambina che si preoccupa dei meno fortunati, inclinazione naturale sostenuta anche dalla conversione al quaccherismo della famiglia, e continuerà a farlo con la musica e l’attivismo durante tutta la sua vita. Al ritorno negli Stati Uniti, sperimenterà lei stessa la discriminazione razziale: seppur nata a Staten Island, New York, la sua famiglia è di origine scozzese-messicana; ed il suo essere messicana a metà, con una pelle che si scuriva molto d’estate, la faceva sentire diversa, inferiore ai suoi compagni bianchi e ricchi. Con il trasferimento verso la fine degli anni Cinquanta a Boston, Joan trova nel suo ukulele e nella musica la felicità; è al Club 47 di Cambridge che inizia ad esibirsi ed a guadagnare i suoi primi compensi, in uno scenario che ha visto nascere il folk americano ed esibirsi talenti come la Baez ed un giovane Bob Dylan. Joan e Bobby sono i protagonisti di una intensa storia d’amore; un amore nato nel mondo della musica, differentemente da quello, nato nel mondo della politica, che la legherà al suo futuro marito (e padre dell’unico figlio Gabriel) David Harris. Dylan spezzò il cuore alla giovane Joan e solo con la saggezza della maturità ha fatto scemare il rancore. La rottura avvenne a Londra, e la giovane Joan ritrovò la serenita al di là della Manica, nella luccicante Parigi. Nei ricordi narrati attraverso le foto e i filmati della Baez, allo spettatore arriva – nitida – l’emozione di rivivere (o di scoprire per la prima volta) sul grande schermo le immagini di quell’epoca, una vita in bianco e nero eppure colma di colori come oggi non mai: Joan Baez e Dylan, Joan Baez che canta We shall Overcome alla marcia su Washington di Martin Luther King nel 1963, il razzismo in Mississippi ed il ku klux klan, il Bloody Sunday del 1965 con il mitico Ponte Edmund Pettus visto con gli occhi di ieri e di oggi, i successivi movimenti pacifisti per il Vietnam che vedranno la stessa Baez andare in prigione, la vita a Struggle Mountain con David Harris nel 1969, l’Istituto per lo studio della non violenza, Amnesty International e tanto altro ancora.
Ma questa è storia; il grande pregio di Joan Baez I Am a Noise è il saper intrecciare la storia con la vita, passando fluidamente e senza soluzione di continuità da quella che è la parte più nota e conosciuta della cantante con un racconto più intimo e personale, in particolare soffermandosi sulla famiglia, le accuse di abusi nei confronti del padre sostenuti anche dalla sorella minore Mimi mentre la maggiore Pauline rimaneva dalla parte dei genitori, i rapporti con le due sorelle prima e dopo il grande successo, la tragedia della morte precoce del primo marito di Mimi. Ma soprattutto la Baez parla apertamente dei propri problemi psicologici, della fragilità del sistema nervoso, degli gli attacchi di panico e i problemi di multipersonalità, che le hanno reso difficile il rapporto a due ed anche quello con suo figlio Gabe bambino. Oggi Joan Baez, quando non è in tournee, vive una vita serena immersa nella natura a Woodside, in California. Il meritato riposo della guerriera che non ha mai smesso di combattere per i meno fortunati.
Michela Aloisi