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Jeannette, l’enfance de Jeanne d’Arc

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VOTO: 8

Un’insolita pulzella

Giovanna d’Arco: una delle figure più ammirate e più studiate di Francia. Anche il Cinema si è da tempo accorto di lei, dando vita a diversi lavori ricordanti la sua avventurosa vita, tra cui, uno degli ultimi prodotti realizzati, Giovanna d’Arco di Luc Besson (1999). ma chi era, di fatto, Giovanna d’Arco prima di diventare “Giovanna d’Arco”, appunto? Com’è stata la sua infanzia? Come trascorreva le sue giornate? Quali erano le sue passioni, i suoi sogni? A porsi queste domande – e basandosi principalmente sul testo “Mistère de la Charité de Jeanne d’Arc” di Charles Péguy – è stato lo stimato cineasta francese Bruno Dumont, il quale, per l’occasione, ha presentato al Festival di Cannes 2017, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs e, successivamente, al Rendez-vous, Festival del Nuovo Cinema Francese 2018, Jeannette, l’enfance de Jeanne d’Arc, dove ci viene mostrata un’inedita Pulzella d’Orleans, quando, appunto, era ancora una bambina.
È un paesaggio montano, dove scorre un piccolo torrente, a fare da unica scenografia di questo importante lavoro di Dumont. È qui che, fin da subito, vediamo una graziosa bambina cantare le lodi al Signore, è qui che la vediamo giocare con gli amici d’infanzia, è qui che la vediamo confidarsi con una coetanea circa le sue preoccupazioni riguardanti la guerra, è qui che, pian piano, vediamo questa bambina crescere e diventare consapevole del fatto che l’unico suo obiettivo nella vita sarà quello di arruolarsi in battaglia a Orleans, al fine di difendere il suo popolo.
Primo capitolo di una trilogia che non può che suscitare parecchio interesse da parte sia di pubblico che di critica, Jeannette, L’enfance de Jeanne d’Arc risulta volutamente un film imperfetto, scarno, realizzato con un budget fortemente limitato e una struttura ridotta all’osso. Ma, d’altronde, è proprio l’imperfezione che Dumont ha voluto mettere in scena: la Giovanna d’Arco bambina che vediamo sullo schermo è perfetta nel suo essere imperfetta, ancora acerba, ancora titubante circa il suo destino. Una Giovanna d’Arco quasi “in divenire”, che ci è molto più vicina di quanto si possa immaginare e che, fin dai primi momenti, non disdegna di guardare in macchina nel rivolgersi a Dio. Guarda in macchina e chiede quale sarà il suo destino. Il pubblico, a tal proposito, viene elevato quasi a divinità, responsabile di ogni possibile interpretazione e, non per ultimo, anche di ogni possibile giudizio sull’intero lungometraggio. Una responsabilità, questa, di certo non da poco, oltre che un enorme segno di rispetto e di riverenza dello stesso Dumont nei confronti degli spettatori.
Non per ultima, l’ambientazione storica del lungometraggio stride volutamente – e in modo perfettamente riuscito – con la musica techno e rock delle canzoni cantate, di volta in volta, dai personaggi: a loro massima libertà di espressione e di caratterizzazione, per un musical del tutto singolare e personalissimo dove la musica stessa – insieme a una recitazione straniante – non fa altro che rendere più accessibili i complicatissimi testi di Charles Péguy, parlando quasi un linguaggio universale.
Ed ecco che, ancora una volta, Dumont non ha deluso le aspettative, ma, al contrario, ci ha regalato un qualcosa di incredibilmente singolare, del tutto inaspettato, straordinariamente bello.

Marina Pavido

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