Il prezzo da pagare
«Soldi, soldi, soldi»: queste sono le primissime parole – tra l’altro ripetute – di Je suis à toi, opera seconda di David Lambert. All’inizio potrà sembrare una dichiarazione di intenti quasi banale nel momento in cui si intuirà la professione del protagonista, Lucas (una straordinaria interpretazione di Nahuel Pérez Biscayart), ma il modo di declinarlo del regista belga – qui in veste anche di sceneggiatore – non è affatto scontato. Dopo aver presentato la sua opera prima, Hors les murs, alla Settimana della Critica del 65esimo Festival del Cinema di Cannes, sceglie di parlare ancora di amore in questo secondo lungometraggio, dando vita a dinamiche che portano a scoprire la propria identità sessuale, l’altro e il vero amore, in un mix perfetto dei registri – dal drammatico all’humour, con sfumature di levità e commozione.
Lucas è un giovane escort argentino, lancia dei segnali di aiuto anche in queste autoriprese con cui si mette in vendita in rete per sopravvivere e a uno di questi risponderà Henry (Jean-Michel Balthazar). È così che si ritrova in Belgio, inizialmente viene ben accolto, ma non tutto è oro quello che luccica. Il messaggio che immediatamente Lambert lancia è quasi di denuncia sottile verso chi pensa che con il denaro si possa comprare l’amore che tanto si è idealizzato. Anche se ci si trova di fronte a un uomo che “sceglie” di vendersi, la conseguenza dell’innamoramento non è così inevitabile e, Lucas, ben esplica che per quanto si possa fingere e provare a forzarsi, i sentimenti vengono a galla.
Dal canto suo, l’uomo, che ha quasi un aspetto da gigante buono, ma nasconde delle ombre che emergono di pari passo con l’insicurezza, è titolare di una panetteria. Il ragazzo inizia a far l’apprendista lì, subendo anche gli orari massacranti e avance sul posto di lavoro, sa che in fondo il prezzo da pagare è quello – il suo corpo; non ha, però, messo in conto che il cuore può ribellarsi. Qui entra in gioco la commessa Audrey, a darle il volto è Monia Chokri, indimenticabile musa di Xavier Dolan ne Les amours imaginaires e in Laurence Anyways, in cui aveva già lasciato un segno indelebile anche per il suo saper essere comunicativa senza proferire parola.
Je suis à toi significa letteralmente “sono tutto tuo” ed effettivamente il titolo gioca con il lavoro che Lucas fa pur non essendo omosessuale e il percorso di amore che lui, ma anche tutti i protagonisti intraprendono (e con loro anche i “comprimari”), forse scoprendo finalmente cosa significhi essere, o meglio, donarsi all’altro. Così come Henry improvvisamente intona delle note, danzando con la farina, sembra quasi che, allo stesso modo, Lambert – in particolare nella direzione degli attori – voglia suonare ora una nota alta, ora quella bassa, provocando così una risata o un contraccolpo. A livello drammaturgico Je suis à toi è ben studiato e anche il gioco che si crea con la lingua ne è un esempio: Lucas, infatti, soprattutto all’inizio, parla e si esprime in inglese, Henry preferisce continuare ad usare il francese, a parte sforzarsi di trovare qualche parola comprensibile anche per il ragazzo, tanto più se vuole ottenere qualcosa da lui. Ma, sempre nell’ottica della cura, immaginiamo che sia stata una scelta ben ponderata la volontà di alludere al sesso orale o far vedere la masturbazione nel momento in cui si trattava di vendere il corpo; quando subentra, invece, l’amore – indipendentemente se sia tra due uomini o tra uomo e donna – tutto appare più puro, delicato, meno “vendibile”.
L’ultima pellicola di Lambert, presentato in concorso alla 29^ edizione del Festival Mix Milano, riesce a far provare uno spettro di sentimenti ed emozioni, dal senso di inadeguatezza all’umiliazione, dal coup de foudre alla paura di essere e rimanere da soli. Forse un po’ il finale lo spettatore se lo aspetta, ma, in fondo, glielo concediamo a fronte di un’opera ottimamente interpretata e ben realizzata.
Maria Lucia Tangorra