Chiodo scaccia chiodo
Bella e intelligente insegnante di cinema bisessuale iraniana scaricata dalla compagna fedifraga, per dimenticare la fine della tormentata relazione si abbandona ai piaceri della carne con entrambi i sessi tra abbordaggi, flirt, menage a trois e tour bollenti. Viste le origini della protagonista Shirin, il mestiere che ha scelto e soprattutto l’orientamento sessuale, quello scritto e diretto da Desiree Akhavan potrebbe apparire come un film di fantascienza, perché, al contrario, le ripercussioni e le ritorsioni nei confronti di colei che lo ha portato sul grande schermo sarebbero state senza alcun dubbio feroci se la pellicola fosse stata prodotta in quel di Teheran. In tal senso, le misure restrittive inflitte a cineasti come Jafar Panahi eMahnaz Mohammadi ne sono la riprova. Per fortuna, Appropriate Behaviour non è fantascienza, ma una bella realtà, oltre che una piacevole sorpresa che, dopo aver fatto commuovere e divertire il pubblico del Sundance, è approdata nel concorso lungometraggi della 29esima edizione del Festival MIX di Milano, dove ha ricevuto una calorosa accoglienza da parte della platea di turno.
L’opera prima dell’attrice, sceneggiatrice e regista iraniano-americana, già vista in qualche episodio di Girls e autrice dell’apprezzata serie tv The Slope, è capace di superare i limiti del genere e del racconto di gioventù per raccontarci, fra lacrime e risate, il caos interiore di una ragazza come tante. Tra amori finiti e la ricerca della propria identità, Appropriate Behaviour è un film sulla solitudine e sulla sensazione di inadeguatezza, sulla fragilità dei sentimenti e sulla difficoltà di ritagliarsi un posto nella Società. La Akhavan sceglie saggiamente di raccontare uno spaccato di vita di una giovane donna che prova a scrollarsi di dosso le macerie di una storia d’amore andata in frantumi, senza andare a impelagarsi drammaturgicamente fra le maglie del filone a sfondo generazionale, quello che vorrebbe a tutti i costi farne un ritratto a tuttotondo. La Akhavan restringe il campo e circoscrive la narrazione a una finestra sull’esistenza di una ragazza diventata donna, in cerca di un “comportamento appropriato” per muoversi come un equilibrista tra le sue inclinazioni sessuali e il rispetto delle tradizioni che le impone la famiglia d’origine. Si tratta di un terreno minato che costringe la protagonista a doppi e tripli salti mortali. Il risultato è un viaggio fisico e mnemonico che passa per due piani temporali (da una parte i flashback che raccontano le tappe che dall’innamoramento portano alla fine della relazione tra Shirin e Maxine, dall’altra il presente nel quale la protagonista tenta di rifarsi una vita) che scorrono parallelamente per poi confluire in un finale che avremmo voluto più incisivo. La concatenazione degli eventi è semplice, a volte telefonata, ma in generale efficace e scorrevole. La messa in quadro è altrettanto easy e sobria, ma funzionale e con una predisposizione ad assecondare un tipo di scrittura che tende a valorizzare più le performance degli attori e i dialoghi al fil di cotone che la tecnica, lo stile e la sperimentazione visiva.
Messo sotto la lente d’ingrandimento, quello firmato e interpretato dalla Akhavan da dietro e da davanti la macchina da presa è anche a suo modo un film politico, che con un travolgente humour nero di sopraffina intelligenza si scaglia senza misure contro l’ostracismo del suo Paese di origine. Lo ha potuto e dovuto fare a km di distanza, per la precisione tra le strade di Brooklyn, mettendo la firma come autrice e la faccia come protagonista calandosi proprio nei panni di una scatenata e turbolenta Shirin. Un atto di coraggio, questo, che non può e non deve passare inosservato, al di là che il film piaccia oppure no.
Francesco Del Grosso