Faccia a faccia
Non è stato un duello al sole in stile Mezzogiorno di fuoco, ma poco c’è mancato. Il film del quale ci apprestiamo a parlare non è un classico del Western, ma un documentario dove al posto dei proiettili e delle pistole troviamo le parole e le macchine da presa, al posto delle distese aride e dei saloon troviamo gli arredi di una stanza di un celeberrimo edificio passato alla storia, al posto di sceriffi e malviventi troviamo una troupe cinematografica e un personaggio da intervistare.
Quello che si è consumato in una notte del Dicembre 1966 in una delle camere del Chelsea Hotel di New York, al 222 West 23rd Street di Manhattan, tra la crew guidata dalla filmmaker di origine ebrea Shirley Clarke, premio Oscar nel 1963 per Robert Frost: A Lover’s Quarrel With the World (considerata un’innovatrice e amante della sperimentazione, nonché una delle poche registe donne dell’epoca), e Jason Holiday, la più favolosa e controversa Black Queen di cui difficilmente avrete mai sentito parlare, si è trasformato letteralmente in una lungo ed estenuante confronto verbale giocato sul filo dei nervi e della tensione. Il risultato di quel confronto diede poi vita l’anno successivo alla fortunata docu-intervista Portrait of Jason, ma di quello che successe realmente nell’arco delle dodici interminabili ore di registrazione non vi è alcuna traccia. Il motivo sta nel fatto che a nessuno dei presenti venne l’idea di filmare un backstage; presenti che purtroppo sono passati l’uno dopo l’altro a miglior vita, portandosi dietro tutti i ricordi e gli aneddoti di quella folle giornata.
Fortunatamente c’è la Settima Arte a venirci in soccorso con Jason and Shirley, presentato in anteprima italiana nel concorso lungometraggi della 30esima edizione del Festival Mix Milano, dove Stephen Winter prova a svelare i numerosi misteri di ciò che accadde al Chelsea Hotel durante le dodici ore di registrazione dell’intervista. In quella chiacchierata con Miss Clarke, Jason, si lasciò andare a storie di razzismo, omofobia, droga, abusi e prostituzione che l’hanno visto protagonista, fino ad un indimenticabile ed emozionante breakdown. Con grande immaginazione, numeri musicali e footage, il docu-film Jason and Shirley cerca proprio di rivisitare quel fatidico incontro, cercando una verità, seppur totalmente falsa.
Ne scaturisce un diabolico mockumentary, la cui architettura drammaturgica è il frutto di un lavoro di ricostruzione a tavolino dei fatti e delle dinamiche accadute fra quelle quattro mura, ma anche dei fitti scambi dialettici intercorsi tra le varie persone coinvolte. Winter firma un finto backstage avvalendosi di attori e di materiali d’archivio inesistenti, volutamente sporchi e dai formati più disparati, che restituiscono l’off camera. Seguendo altre traiettorie torna alla mente Interior. Leather Bar, nel quale James Franco ha dato forma e sostanza ai quaranta minuti tagliati da Cruising di WIlliam Friedkin. L’operazione in sé appare molto accattivante e capace di calamitare l’attenzione dello spettatore di turno, almeno sino a quando il meccanismo della ricostruzione viene definitivamente svelato a metà della timeline. Da quel momento l’interesse cala e di conseguenza anche l’attenzione di colui che guarda. L’eccessiva durata rende così gli ultimi trenta minuti di visione decisamente faticosi, vanificando quanto di buono fatto nella prima e più incisiva parte.
Francesco Del Grosso