Il cameraman e il barbiere
Il found footage dovrebbe documentare, ma non è quasi mai troppo chiaro cosa fa.
E persino in un periodo storico in cui il sottogenere più famoso dell’horror dell’ultimo ventennio sembra mostrare il fiato, trovandosi becchini del malaugurio un giorno sì e l’altro pure, escogita sempre nuovi mo(n)di per fuggire dai suoi avvoltoi. Anche la recente miniserie Documentary Now ha ribadito questo, nell’episodio DRONEZ: The Hunt for El Chingon.
Che quindi uno dei registi di punta del nuovo brivido mondiale, lo statunitense Ti West, si sia incamminato nella terra minata del POV, non poteva che essere tappa obbligata. Soprattutto quando a unire le forze si è aggiunto il regista, produttore, scrittore e attore Joe Swanberg, giovane autore che si è già distinto per avere come peculiarità artistica l’esplorare il rapporto con la tecnologia; gli aficionados di Midnight Factory lo ricorderanno in V/H/S, come regista del corto The Sick Thing That Happened to Emily When She Was Younger e come attore in Second Honeymoon, il cui regista era – com’è piccolo il mondo – proprio Ti West. Corto che palesava tutte le incertezze di novizio con il per lui inedito linguaggio, finendo per scemare in un brodino insignificante di possibilità mal partorite.
Cambia decisamente tono e livello The Sacrament, uscito nel 2013 grazie anche alla produzione del santone giocherellone della produzione a stelle e strisce Eli Roth, in quel periodo impegnato a risolvere i problemi distributivi del suo Green Inferno, come sappiamo risolti solo lo scorso anno.
Ispirato al tragico massacro di Jonestown, avvenuto il 18 novembre 1978, con circa 900 persone spinte al suicidio dal delirante carisma del pastore Jim Jones, fondatore del movimento religioso Tempio del popolo, West si disinteressa della ricostruzione storica e si guarda bene dal realizzare un docudrama: probabilmente non ha le forze intellettuali dell’Herzog di Echi da un Regno Oscuro e Demoni e Cristiani del Nuovo Mondo o di Joshua Oppenheimer (The Act of Killing, The Look of Silence), i quali avrebbero insistito sulla simbologia del potere sociologico e antropologico della parola, motivo per cui ha sapientemente preferito volgere altrove la sua riflessione artistica.
Ecco quindi che il contesto assume lo scopo di tramite per una ludica esplorazione del linguaggio found footage. Non possiamo chiedere a West se conosce il pensiero di Bertrand Russell, o se addirittura gli è stato di ispirazione, ma senza dubbio il famoso paradosso del barbiere, creato per rendere più chiaro il paradosso del filosofo britannico, pennella a meraviglia l’operato del regista statunitense.
Un barbiere rade quelli, soltanto quelli, che non si radono da soli. Chi rade quindi il barbiere? Un cameraman filma ciò, soltanto ciò, che vede. Chi filma il cameraman?
oppure
Un cameraman filma ciò, soltanto ciò, che filma. Cosa filma il cameraman?
oppure
Una videocamera filma ciò, soltanto ciò, che filma. Chi filma la videocamera?
Sovrapposizioni logiche potenzialmente infinite sono al servizio del contesto dipinto da West. Perché se è vero che la rottura dei dettami del found footage non avviene solo ora, The Sacrament gioca a destrutturare il genere, ad andare oltre i suoi limiti per creare qualcos’altro, al punto che non sarebbe sbagliato parlare di morte e rinascita (se mai qualcuno troverà il modo di prenderne l’eredità).
Se lo spettro dell’autenticità è stato accoltellato da tempo, mettendo il dito sulla piaga del montaggio, che fa crollare l’autenticità del girato “live” (il montatore taglia ciò, soltanto ciò, che non va visto. Chi taglia il montatore?), West va molto oltre, divertendosi con gusto ai limiti del godardismo: spara colonna sonora extradietegica, esce dal POV, inquadra scene dalla mano ignota. Tutto per un semplice motivo: perché può. E perché noi gli crediamo. In moltissimi, con ogni probabilità, nella visione del film non riescono neppure a scorgere il fumo negli occhi.
Il messaggio che sembra volerci dare è che non c’è molta differenza tra il credere a un santone e fare altrettanto con un regista, siamo in mani di un linguaggio e una realtà che, se analizzati a dovere, mostrerebbero tutte le loro incoerenze.
Noi siamo gli abitanti di Eden Parish, la telecamera è il nostro Padre (un titanico Gene Jones, la quasi omonimia con il vero pastore è il meno): credetti, e sempre credetti, e fortissimamente credetti.
In alto i calici di cianuro e brindiamo. A un nuovo, vecchissimo, moribondo cinema!
COMMENTO ALL’EDIZIONE BLU RAY MIDNIGHT FACTORY
È stavolta un’edizione che non lascia del tutto soddisfatti, quella proposta da Midnight Factory. Se infatti va dato pieno merito per aver portato da noi un film (e un autore) altrimenti condannato all’invisibilità, oltretutto in versione blu ray (BD-25, aspect ratio 1.78:1), scelta ad esempio non intrapresa in Gran Bretagna, dove il film è uscito solo in dvd, la ricchezza dell’offerta lascia un po’ a desiderare.
L’edizione made in USA, quella di riferimento presente sul mercato, vanta commento del regista e di due degli attori protagonisti, dietro le scene, making of e altri extra. Nel blu ray, ahinoi, non c’è nulla di tutto ciò: la proposta si materializza nel solo trailer (un trailer piuttosto lungo e – avvertenza per i “spoilerfobi” – sin troppo rivelatore). Non manca l’abituale appuntamento con il libretto critico dei nocturniani Manlio Gomarasca e Davide Pulici, ma questa volta l’amaro in bocca resta, acuito peraltro da qualche errore di battitura di troppo in fase di sottotitoli.
Rimane comunque la felicità di vedere sul mercato nostrano un’opera così sottovalutata di uno dei principi dell’horror contemporaneo.
SPECIFICHE
- Lingue Italiano 5.1 DTS-HD Master Audio, Inglese 5.1 DTS-HD Master Audio
- Sottotitoli italiani (per il film)
- Trailer originale
– Booklet con commento critico di Manlio Gomarasca e Davide Pulici, fondatori di Nocturno
Riccardo Nuziale