Conversando con il regista, che ha da poco presentato “El Ladrón de perros” al Giffoni Film Festival
Dopo l’anteprima italiana di El Ladrón de perros, presentato con successo al Giffoni Film Festival, abbiamo voluto scambiare qualche impressione con Vinko Tomicic, appassionato cineasta la cui infanzia si è svolta tra Cile e Bolivia.
D: Abbiamo letto sulle tue note biografiche che sei nato in Bolivia, che sei cresciuto nel porto cileno di Coquimbo e che poi hai studiato ingegneria del suono in Argentina, a Buenos Aires. Innanzitutto, quale idea ti sei fatto delle diverse realtà sudamericane con cui ti sei confrontato?
Vinko Tomicic: In realtà sono nato in Cile, il mio rapporto con la Bolivia è stato quello di averci vissuto con i miei genitori durante il primo anno di vita, ma poi si sono separati e io sono tornato con mia madre in Cile e non sono tornato in Bolivia fino al 2015, quindi sono cresciuto con un mio immaginario della Bolivia, molto astratto, credo sia per questo che la mia impressione al ritorno, a distanza di tanti anni, sia stata così forte.
Al di là di tutte le particolarità che ogni Paese latinoamericano può avere, c’è indubbiamente qualcosa che ci unisce, qualcosa legato al sociale, al calore umano, a come l’astuzia prevale sempre di fronte alle avversità, una dimensione mistica che ci identifica e che io amo.
D: Grande protagonista del tuo ultimo film, El Ladrón de perros, è la città dove sei nato, La Paz, capitale della Bolivia. Che rapporto hai con quei luoghi? Nel film li descrivi in modo davvero vario e sfaccettato, ma sembrerebbe che tu sia particolarmente interessato a far emergere le barriere e le differenze di classe…
Vinko Tomicic: Questo film non sarebbe potuto esistere in nessun altro luogo se non a La Paz, perché questa città ha un’energia unica e gran parte di essa, della sua cultura, sembra resistere ai cambiamenti della globalizzazione che distruggono sempre più l’identità di molti territori. Ho voluto concentrarmi lì, per ritrarre quei luoghi che mi hanno riempito il cuore di un senso di nostalgia, che è stato il carburante per creare il film. Ognuno di noi ha le sue inquietudini, i suoi stimoli creativi, Nel mio caso questo film nasce da un ricordo d’infanzia, e anche se non è accaduto a La Paz, è lì che ho trovato gli elementi per trasformarlo in un film. È un onore sentire che la città è la protagonista principale, perché i lustrascarpe ne fanno parte e chi lavora come ambulante, come il nostro protagonista Martín, la attraversa ogni giorno fino all’ultimo angolo. Abbiamo prestato molta attenzione alla scelta delle location affinché trasmettessero lo stato emotivo di Martín in ogni momento della storia.
D: El Ladrón de perros pone al centro del racconto la difficile esistenza di un ragazzo, orfano, che, oltre a frequentare la scuola, è costretto per sopravvivere a diventare lustrascarpe. Questa figura in Italia rimanda ad epoche già lontane, quelle celebrate sullo schermo dal cosiddetto “Neorealismo”. Conoscevi già il film Sciuscià di Vittorio De Sica?
Vinko Tomicic: Quello che in Italia oggi sembra una realtà lontana, in Bolivia è qualcosa di concreto, c’è quella sensazione che molte cose in città sembrano stagnare nel tempo. Certo, conoscevo di fama i film di De Sica, ma non li avevo mai visti, ho visto Ladri di biciclette solo durante il montaggio del film e non ho ancora visto Sciuscià. Ma fare film indipendenti in America Latina ha molta similitudine con quello che accadeva durante il Neorealismo e senza dubbio ci sono molte connessioni naturali. Ora posso dire che dopo aver visto Ladri di biciclette la mia sorpresa è stata enorme e mi piacerebbe dire che il mio film è un omaggio al lavoro di De Sica, perché il suo cinema fa già parte del patrimonio e del nostro immaginario collettivo e anche se non avevo visto il suo film prima di realizzare il mio, in qualche modo è parte di noi.
D: Co-protagonista del tuo lungometraggio è un grande attore cileno, Alfredo Castro, già presenza importantissima nel cinema di Pablo Larraín. Come lo hai scelto per il fondamentale ruolo del sarto?
Vinko Tomicic: Ho sempre voluto lavorare con Alfredo Castro, sono cresciuto guardando le sue interpretazioni al cinema e in televisione, ho scritto il suo personaggio pensando a lui. Sono molto grato per la generosità di Alfredo nell’aderire al progetto, è stato senza dubbio un contributo straordinario.
D: Autentica rivelazione del film è poi il giovanissimo Franklin Aro Huasco. Come lo hai scoperto? E, dato che recitare con gli animali non è mai facile, come hai ottenuto da lui tanta naturalezza nel rapporto col cane?
Vinko Tomicic: Franklin è arrivato nel film grazie a un processo di casting molto capillare che abbiamo fatto in tutta la città. Franklin stava lavorando come lustrascarpe e ha visto un poster per strada. Il suo casting è stato incredibile. Da subito non ho avuto dubbi sul fatto che potesse essere il giusto interprete per Martin. Tutti i giovani attori del film sono lustrascarpe e hanno seguito un processo di formazione attoriale durato più di due anni prima delle riprese. Anche il cane ha fatto parte del percorso, in modo da creare un legame naturale con Franklin Aro.
D: Cosa ti aspettavi dall’anteprima italiana al Giffoni Film Festival e come è stata poi la reazione del pubblico?
Vinko Tomicic: L’accoglienza del pubblico e della stampa è stata incredibile, ero molto ansioso all’idea di poter presentare il film a Giffoni ed entrare così in contatto con un pubblico giovane, per cogliere le loro impressioni vedendo la vita di Martin. Senza dubbio è stata un’esperienza molto emozionante.
D: Sappiamo anche che al momento di girare il tuo lungometraggio d’esordio El Fumigador hai fondato Calamar Cine, una piccola casa di produzione. Data la tua esperienza personale, come ci si trova a fare cinema indipendente in Sudamerica?
Vinko Tomicic: Fare cinema in America Latina è molto difficile, sono stato costretto a creare la mia società per poter iniziare a sviluppare i miei progetti; certo, ci sono molti Paesi che hanno fondi o istituzioni pubbliche che incoraggiano lo sviluppo, ma non sono mai abbastanza per costruire un’industria solida. Sarebbe molto importante che i governi locali capissero tutti i benefici che l’industria cinematografica può portare, non solo culturali ma anche economici.
Stefano Coccia