La fabbrica dei mariti
Capita che, a un certo punto, gli attori decidano di cimentarsi in prima persona con un’esperienza dietro la macchina da presa. E a volte capita anche che gli stessi riescano ad avere un discreto successo anche in queste loro nuove vesti da regista. Questo è il caso, ad esempio, di Maria Schrader, con già un’importante carriera da attrice alle spalle, la quale, dopo un esordio nel 2007 con Love Life, si è distinta nel 2016 con il pluripremiato Stefan Zweig: Farewell to Europe. Sulla scia di un tale successo, eccola giungere nuovamente alla Berlinale 2021 (dove nel 1999 aveva vinto l’Orso d’Argento alla Miglior Interpretazione Femminile per Aimée & Jaguar), al fine di concorrere all’Orso d’Oro con I’m Your Man, la sua ultima fatica, liberamente tratto dal racconto “Ich bin dein Mensch” di Emma Braslavsky.
Fino a che punto i robot potranno, un giorno, sostituire l’essere umano? E, soprattutto, è possibile avere con loro delle relazioni sentimentali vere e proprie? Su questo tema sono in molti a essersi più e più volte concentrati, sia in specifici documentari che in lungometraggi a soggetto veri e propri. E ciò è accaduto non soltanto in tempi recenti, ma anche diversi decenni fa. Basti pensare al celeberrimo L’uomo bicentenario (Chris Columbus, 1999) o al pregiatissimo La fabbrica delle mogli (Bryan Forbes, 1975). Ed è proprio a questo lungometraggio di Forbes che sembra in parte essersi ispirato il presente I’m Your Man. Qui, infatti, viene messa in scena la storia di Alma (impersonata da Maren Eggert), una ricercatrice che lavora presso il Pergamon di Berlino e che, al fine di ottenere dei fondi per poter finanziare un suo progetto, decide di sottoporsi a un esperimento: la donna dovrà convivere per tre settimane con un robot che sembra in tutto e per tutto un essere umano e che, secondo un dettagliato studio su algoritmi e ricordi, dovrebbe personificare il suo uomo ideale. Così Alma farà la conoscenza di Tom (un ottimo Dan Stevens), creato appositamente per “renderla felice”.
Dato l’iniziale scetticismo della protagonista, I’m Your Man si distingue immediatamente per momenti esilaranti e sopra le righe, che si contrappongono agli atteggiamenti pacati ed estremamente composti di Tom. E il film, nel complesso, si lascia guardare con piacere, dato anche il carattere sentimentale reso ancora più poetico da suggestive immagini di una Berlino d’estate e da un azzeccato commento musicale. Eppure, nonostante tutto, questo lavoro di Maria Schrader si rivela in ogni caso un prodotto senza troppe pretese. O meglio, un prodotto che qualche pretesa ce l’ha, ma che finisce inevitabilmente per percorrere strade già più e più volte percorse in passato, aprendo discorsi sui sentimenti e sui rapporti interpersonali che nulla tolgono e nulla aggiungono a quanto già ipotizzato o teorizzato in passato. E in casi come questi il risultato finale è sì un lavoro gradevole e a tratti divertente, ma anche un lungometraggio piuttosto banale e privo di mordente, che si regge quasi esclusivamente sulle ottime performance dei due attori protagonisti, in grado di creare una riuscita alchimia sia nei momenti idilliaci che durante piccoli screzi. Ma basta tutto ciò ad aggiudicarsi il tanto ambito Orso d’Oro? La risposta (piuttosto scontata) la sapremo con certezza tra qualche giorno.
Marina Pavido