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Il varco

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VOTO: 7.5

Non si torna indietro

Estate 1941, un soldato italiano parte in treno per il fronte sovietico. L’esercito fascista è alleato di quello nazista, la vittoria appare vicina. Il convoglio parte tra i canti e le speranze. La mente del soldato torna alla malinconia delle favole raccontategli dalla madre russa. A differenza di molti giovani commilitoni, lui ha già conosciuto la guerra, in Africa, e non ne è entusiasta, anzi, la teme. Il treno attraversa mezza Europa, avventurandosi nello sterminato territorio ucraino. All’arrivo dell’inverno l’entusiasmo cade sotto i colpi dei primi morti, del gelo e della neve. I desideri si fanno semplici: non più la vittoria, ma un letto caldo, del cibo, un abbraccio. L’immensa steppa spazzata dalla tormenta sembra popolata da fantasmi. Il soldato ha una sola, flebile speranza: tornare a casa.
Per portare sullo schermo e narrare l’odissea esistenziale e militare del protagonista de Il varco, presentato in prima mondiale alla 76eesima edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione “Sconfini” e in sala da Ottobre, la coppia di registi Federico Ferrone e Michele Manzolini non ha attinto al cinema di finzione per dare a essa forma e sostanza, ma ha scelto di rimanere fedele alla linea che vuole il documentario come terminale e portatore sano di immagini e suoni. Un modus operandi che nello specifico ha messo da parte le pratiche della pura osservazione o dei cosiddetti talking heads più o meno frontali per puntare solo ed esclusivamente sui materiali d’archivio. Del resto, chi conosce il profilo degli autori o ha avuto modo di entrare in contatto con il loro precedente lavoro, ossia Il treno va a Mosca, ne poteva anticipare le mosse e così e stato.
Il risultato è un film di montaggio che ha però nel proprio DNA drammaturgico e narrativo un processo interno di riscrittura assai stratificato, che pur rispettando in maniera sacrale l’autenticità dei materiali presi in consegna, li plasma al fine di ridare vita a una testimonianza storiografica e documentaria di grande valore. Un magma di fotogrammi, questo, dal valore intrinseco e dal fascino nostalgico, nonostante il dolore e la sofferenza del quale si fa drammatica testimonianza. E la mente torna tanto a They Shall Not Grow Old di Peter Jackson quanto alle sequenze di repertorio di Fango e gloria di Leonardo Tiberi.
Con Il varco, Ferrone e Manzolini hanno aggiunto un nuovo e importante tassello al personale progetto di ricostruzione della Storia, attraverso una rilettura della stessa che attinge a immaginari apparentemente distanti tra loro ma che sulla timeline si supportano, si alimentano e coesistono: il romanzo d’avventura, le fiabe popolari russe, la coscienza sporca del colonialismo fascista, e i diari e i memoriali dei soldati italiani sul fronte orientale. Ed è da quest’ultimi che il racconto orale parte, si sviluppa e si traduce nella colonna vertebrale dell’esoscheletro che sorregge il parsimonioso e paziente lavoro di editing, preceduto da un altrettanto attento setaccio e ricerca nelle teche dei tasselli visivi che vi sono alla base. Liberamente ispirato alle vite e ai diari dei militari Guido Balzani, Remo Canetta, Enrico Chierici, Adolfo Franzini, Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern, Il varco racconta proprio attraverso immagini di repertorio il viaggio di un soldato italiano diretto al fronte sovietico. Ne scaturisce una storia di finzione costruita con filmati di repertorio, ufficiali e amatoriali, impreziositi da un efficacissimo sound design e da un libretto di musiche avvolgenti ed evocative. Il tutto per consegnare alla platea di turno un flusso epistolare in prima persona e in soggettiva di un militare scaraventato corpo, anima, ricordi e speranze, nel “cuore di tenebra” della guerra.

Francesco Del Grosso

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