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Il settimo figlio

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VOTO: 6

Tremate, tremate, le streghe son tornate

Essere il settimo figlio di un settimo figlio è una prerogativa niente affatto comune. E per il mondo magico raccontato nel lungometraggio di Sergej Bodrov rappresenta anche un dono oneroso, il segno evidente di quella predestinazione che, nel caso dell’umile figlio di contadini Tom Ward (impersonato da Ben Banes), assume una valenza ancora più forte: la famiglia del giovane sembra già avere, infatti, qualche arcano e misterioso legame coi poteri magici. Ma tutto ciò, prima ancora che di chissà quali onori, sarà fonte di guai, per il baldo co-protagonista del film. L’indomito Tom è stato infatti scelto per essere il nuovo apprendista di Master Gregory. Costui, interpretato in modo assai divertito da Jeff Bridges, è uno scaltro e potentissimo mago che di apprendisti ne ha già persi parecchi. Nulla di cui stupirsi. Ultimo rappresentante di un fiero ordine cavalleresco, Master Gregory è impegnato da tempo immemore nella cruenta lotta con streghe capaci anche di mutare forma; creature magiche che, grazie al ritorno della loro regina da un crudele e lunghissimo esilio, sembrano nuovamente intenzionate ad assoggettare gli umani devastandone al contempo città e territori.

Tali sono le premesse del fantasy diretto dall’eclettico e girovago Sergej Bodrov, cineasta russo che prima di approdare a Hollywood si è cimentato con svariate co-produzioni internazionali, in giro per il mondo. Con Il settimo figlio la Universal Pictures gli ha chiesto di mettere mano a un progetto fermo da tempo, che, stando alle interviste concesse dall’autore, era stato proposto in passato persino a Tim Burton. Forte delle impressioni molto positive destate anche in America da Mongol (pare che il regista russo stia già lavorando al sequel, in cui è l’ultimo anno di vita del condottiero Gengis Khan ciò che si proverà a raccontare), si è sentito libero di intervenire su quest’altro progetto cinematografico tentando di conferirvi un’impronta, a partire dalle scelte di casting tecnico e artistico, ma il risultato è stato a dir poco sbilenco.

Condizionato da dinamiche burrascose in fase produttiva, specialmente per quanto concerne il comparto delicatissimo degli effetti speciali, Il settimo figlio è la trasposizione del romanzo di Joseph Delaney, L’apprendista del mago (pubblicato negli Stati Uniti col titolo The Last Apprentice: Revenge of the Witch), che è poi il capostipite della serie Wardstone Chronicles. Tale ciclo ha fatto la fortuna dello scrittore britannico nei paesi anglosassoni, ma di certo non in Italia, dove finora dei tredici romanzi che lo compongono ne sono stati pubblicati solamente due. Chissà se i risultati al botteghino del film di Bodrov incentiveranno o meno la nascita di una nuova saga cinematografica, da un così prolifico (e perciò ampiamente saccheggiabile) percorso letterario. Per un lungometraggio produttivamente così impegnativo i dati del box office americano fino ad ora sono buoni, ma non esaltanti, mentre da taluni mercati europei e dell’estremo oriente stanno arrivando riscontri più positivi del previsto. Staremo a vedere.

Per quanto riguarda invece l’esito artistico, lo accennavamo poc’anzi, il russo Bodrov una materia come il fantasy riesce a maneggiarla con passo troppo incerto, sebbene qualche spunto poi non dispiaccia. Ne Il settimo figlio il mago e il suo apprendista si trovano ad affrontare una caterva potenzialmente affascinante di leggendarie creature, dai più primitivi boggart e ghast, fino a quelle streghe e stregoni che hanno la capacità di trasformarsi in draghi o in altre bestie spaventose. Già da un punto di vista iconografico l’opera del cineasta russo si trova troppo spesso a riciclare immagini e scenari abusati. Ma è soprattutto il ritmo a venire meno. Con Lo Hobbit e Il signore degli anelli di Peter Jackson che in questi anni hanno dettato, nel bene e nel male, la tempistica di scontri interminabili combattuti all’arma bianca e a colpi di magia nelle favolistiche terre tolkieniane, le analoghe situazioni qui rappresentate vengono risolte in modo indubbiamente sbrigativo: parentesi un po’ accessorie tendono a rallentare il racconto, mentre eventi che pongono i personaggi di fronte a scelte e a confronti particolarmente difficili si concludono con rapidità imbarazzante.

Si ha pertanto l’impressione che il materiale narrativo di partenza sia stato compresso in maniera un po’ forzata, nei circa 100 minuti di durata del film, probabilmente insufficienti. Tuttavia, almeno nei momenti più pregnanti, qualcosa del suo cinema Bodrov è riuscito a infilarcelo. Si pensi ad esempio alla scena iniziale in cui la strega viene imprigionata, allorché attorno al luogo dell’incantesimo il cielo muta di continuo e le stagioni si succedono vorticosamente; oppure ai paesaggi naturali attraversati da Master Gregory e dal suo allievo durante la loro spedizione. Ecco, in entrambi i casi tende a riaffiorare l’epica genuina di Mongol e del precedente Nomad, ricavata dal senso di libertà degli spazi aperti. Sempre per quanto riguarda la “dimensione spaziale” dell’opera, va detto che gli effetti digitali scadono a volte nel kitsch, molto meglio quando a caratterizzare la messa in scena è il lavoro di un maestro, come lo scenografo Dante Ferretti. E anche il lavoro sui personaggi talvolta funziona. Specie se gustata in versione originale, la recitazione di Jeff Bridges nei panni di Master Gregory diverte per il piglio (auto)ironico, l’istrionismo di fondo e quell’aplomb, che alla lunga può risultare ripetitivo ma nei dialoghi più secchi e concisi riesce ancora a risultare brillante. Se Julianne Moore sa poi portare carisma e fascino alla figura di Madre Malkin, regina delle forze oscure, è proprio il tentativo (riuscito a metà) di caratterizzare in modo alternativo il campo delle streghe uno degli spunti più interessanti. Ecco cosa si legge in un’intervista a Sergej Bodrov pubblicata su Russia Beyond the Headlines: “Sono stato molto colpito dal tema della caccia alle streghe. È un tema molto moderno. Sebbene da tempo ormai non ci sia più l’Inquisizione, la caccia continua fino ad ora. Noi amiamo cercare le streghe e dare a loro la colpa di tutti i peccati, perché in qualche modo ci sentiamo di essere giusti. Non mi riferisco a nessuno in particolare, mi riferisco a tutto il mondo: la maggior parte delle persone in ogni circostanza ritiene di essere nel giusto. Questo è anche il tema che mi ha colpito e che ho cercato di sviluppare.”
Purtroppo la compressione narrativa cui si faceva riferimento ha ridimensionato parecchio, nello script, la portata di questi spunti, ma il ruolo esercitato da certe figure non va trascurato. Vedi ad esempio Alice, interpretata dalla giovane e graziosa Alicia Vikander, attrice svedese il cui personaggio continua a oscillare tra l’affetto per un umano e la lealtà verso altre streghe. Vi è quindi un rifiuto del manicheismo, una ricerca di condizioni liminari e di zone d’ombra tra bene e male, a caratterizzare in positivo questo fantasy al quale Bodrov, per molti altri versi, non ha saputo infondere il passo giusto.

Stefano Coccia

 

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