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Immersion

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VOTO: 4

Morti misteriose nel Metaverso

Uno dei film più attesi della selezione della seconda edizione di Sognielettrici – Festival dell’immaginario fantastico e di fantascienza era sicuramente Immersion, presentato nel concorso della kermesse milanese in anteprima italiana. Il fatto che a firmarne sceneggiatura e regia fosse nientepopodimeno che Takashi Shimizu, meglio conosciuto come uno dei principali esponenti del J-Horror nonché creatore di Ju-on: The Grudge e dei suoi numerosi remake/sequel, è bastato ad alimentare tale attesa da parte di chi come noi sa cosa è in grado di partorire la mente del prolifico regista giapponese quando si trova in stato di grazia. Condizione che purtroppo lo ha abbandonato e che non ha più ritrovato dai tempi d’oro della suddetta saga e dall’ormai lontano 2004, anno in cui portava sul grande schermo il seminale Marebito. Quello è per quanto ci riguarda il suo ultimo potente acuto dietro la macchina da presa. Da lì in poi una sequela di pochissimi alti e moltissimi bassi tra illusorie ripartenze e passi falsi ai quali dopo la visione al festival meneghino dobbiamo a malincuore aggiungere anche Immersion.
Senza girarci troppo intorno siamo infatti qui a registrare un’altra pesante prova ben al di sotto delle reali potenzialità del cineasta nativo di Maebashi. Prova incolore che si traduce nell’ennesima delusione da parte di un autore che con pellicole come queste continua a percorrere una vera e propria parabola discendente dalla quale sembra non riuscire più a risalire, salvo rarissime eccezioni come il recente Sana (Minna no Uta). Con Immersion purtroppo raschia il fondo del barile, segnale allarmante dell’esaurimento di energie e creatività, elementi che invece avevano caratterizzato e alimentato le produzioni dei bei tempi andati. Per provare a risalire la china, Shimizu punta ancora su un genere, su stilemi e tematiche a lui familiari, ma la scelta non gioca a suo favore. Il regista infatti torna sulle scene con un J-Horror che replica approcci e modus operandi ormai logori che non producono più gli effetti desiderati, a cominciare dall’utilizzo meccanico e prevedibile del jumpscare che come ampiamente risaputo essere una delle più importanti “armi” a disposizione del genere in questione. L’utilizzo non corretto e di scarsa qualità come in questo caso toglie carburante al motore fino a lasciarlo a secco.
La messa in quadro finisce così per arrancare e sbandare pericolosamente sino a schiantarsi contro il muro della mediocrità, trascinandosi dietro anche la zavorra di una scrittura altrettanto inconsistente che chiama in causa una storia che dirama i propri fili narrativi e drammaturgici tra modernità e folklore. Il plot è incentrato su una infestazione sovrannaturale legata alla realtà virtuale e al chiacchierato Metaverso che vede una catena di morti misteriose colpire i dipendenti di un’azienda di tecnologia VR. Da qui il titolo Immersion, con gli sventurati protagonisti che si trovano immersi tanto nella vita reale quanto nel mondo virtuale in una paura che attanaglia e provoca vittime. Una paura che è da sempre la materia prima del cinema di Shimizu, ma che pare avere perso nel tempo la sua forza impattante al punto tale da richiedere una pausa di riflessione per l’autore e forse un cambio di rotta per trovare nuovi stimoli. In tal senso cambiano le storie e i personaggi ma le storie e le dinamiche restano le stesse. L’impressione è infatti quella di vedere sempre il medesimo film.

Francesco Del Grosso

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