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I primitivi

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VOTO: 7

Come eravamo, come siamo

Correva l’anno 2000 e sul grande schermo faceva la sua apparizione un lungometraggio d’animazione in stop motion, con singolari personaggi realizzati con la plastilina. Per l’accurata realizzazione delle immagini, ma anche per uno script ben riuscito con un importante tema di fondo quale il diritto alla libertà personale e l’importanza del gioco di squadra, tale film è riuscito a catturare l’attenzione di un elevato numero di spettatori, adulti e piccini. Stiamo parlando, per l’appunto, di Galline in fuga, opera prima dell’animatore inglese Nick Park, il quale aveva già all’attivo numerosi cortometraggi, tre dei quali (Creature Comforts del 1989, I pantaloni sbagliati del 1993 e Una tosatura perfetta, realizzato nel 1995) erano stati insigniti del Premio Oscar per il Miglior Cortometraggio d’Animazione. Stesso destino ha atteso, dunque, anche il pregiato Galline in fuga, lungometraggio grazie al quale Park è ufficialmente entrato a far parte dell’Olimpo dei Grandi nel campo dell’animazione e la Aardman Animations – casa di produzione per cui Park stesso lavora – si è fatta conoscere in tutto il mondo. In seguito alla realizzazione di ulteriori lavori, oltre che di fortunate serie animate che hanno visto come protagonisti Wallace ed il suo fido cane Gromit, ecco che, nel 2017, l’ormai celebre regista britannico ha pensato di dar vita ad un prodotto “mastodontico” – come egli stesso ha affermato – che miri a raccontare l’umanità partendo dall’Età della Pietra, per poi arrivare all’Età del Bronzo e che metta in scena gli stessi temi della sua opera prima. E così, alla fine del 2017, ha visto finalmente la luce – dopo ben due anni di lavorazione – I primitivi, opera sulla quale sia Park che la Aardman Animation hanno fin da subito puntato molto.
Ci troviamo, appunto, nell’Età della Pietra. In seguito ad un’esplosione vulcanica, alcuni uomini primitivi iniziarono a tirare calci ad una pietra rovente di forma rotonda. In questo modo ebbe origine il gioco del calcio, in seguito documentato tramite singolari incisioni rupestri. Parecchio tempo dopo, precisamente nell’Età del Bronzo, una delle ultime tribù di primitivi – all’interno della quale vive il giovane Dag – rischia di essere scacciata dal proprio habitat da potenti uomini privi di scrupoli. Cosa fare per salvaguardare la propria abitazione? Sarà la riscoperta del gioco del calcio, grazie anche all’aiuto della giovane Ginna in qualità di coach, a rappresentare l’unica possibilità di salvezza per Dag e per il suo gruppo di amici.
Visti i precedenti lavori ed essendo a conoscenza del grande talento di Park, è naturale che un prodotto come I primitivi possa suscitare grandi aspettativa da parte di pubblico e critica. E, fortunatamente, tali aspettative sono state ampiamente soddisfatte. Grazie, appunto, ad un accuratissimo lavoro su personaggi e scenografie durato, come abbiamo detto, ben due anni, il risultato finale è un lungometraggio visivamente accattivante, magnetico, con figure morbide e ben articolate, colori pieni ed ambienti studiati fin nel minimo dettaglio. In poche parole: un vero e proprio piacere per gli occhi.
Ciò che, forse, convince meno de I primitivi, è, in realtà, proprio lo script. Rappresentando fedelmente uno schema classico più e più volte adoperato e mettendo in scena temi analoghi al precedente Galline in fuga, il risultato finale è un lavoro sì pulito, ma anche altamente “semplificato”, privo di necessari guizzi narrativi, oltre che di una sorta di valore aggiunto che gli permetta di creare una propria, marcata identità. Dall’altro canto, però, non possiamo non riconoscere che quell’umorismo tipicamente britannico – sottile ed anche politically scorrect quando serve – qui presente sia un tocco più che indovinato all’interno di tutto il lavoro.
Ora, c’è da chiedersi solo una cosa: come reagiranno i giovani spettatori di fronte ad un prodotto come I primitivi? Ne siamo certi, non potranno che restarne rapiti.

Marina Pavido

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