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I Am a Ghost

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VOTO: 8

Un’anima divisa in due

Poche ore prima che questa XXXIV edizione del Fantafestival si avvii alla conclusione, con l’attesissima anteprima di Apes Revolution, ci è venuta voglia di buttar giù due parole su I Am a Ghost di H.P. Mendoza, che tra quelli visti la settimana scorsa al Barberini è stato a nostro avviso il film-rivelazione. Una scelta coraggiosa e di certo non facile, quella compiuta dai selezionatori, specie se rapportata a un mood fantafestivaliero che vede il pubblico spazientirsi e rumoreggiare allegramente, in quei frangenti che possono rievocare più certo cinema sperimentale del classico, magari prevedibile splatterone. E difatti durante le battute iniziali di I Am a Ghost si è temuto il peggio, visto che il ripetersi di azioni quotidiane nella magione abitata da una solitaria e misteriosa figura femminile cominciava già, come era fin troppo facile mettere in preventivo, a suscitare le consuete reazioni goliardiche. Ecco che sullo schermo la donna si sveglia, va in bagno, cuoce un uovo in padella, si prepara a uscire, rientra in casa, fugge spaventata da una stanza, ripetendo questa sequenza più volte seppur con qualche variazione, anche come angoli di ripresa. Quasi scontato che qualcuno, tipo i ragazzi della fila davanti, cominciassero a scambiarsi battutine, frizzi e lazzi d’ogni genere, fino a un estemporaneo e tragicomico tentativo di imitare la colonna sonora… ma anche questo è Fantafestival, tocca essere preparati a tutto.
Il bello è che il crescendo angoscioso del film di H.P. Mendoza avrebbe poi travolto questo tipo di resistenze, zittendo persino i denigratori più irriducibili, allorché l’incipit elegantemente da video-arte si appresta a rivelare intrecci con una storia realmente da brividi, in cui l’infestazione del luogo e il manifestarsi di turbe psichiche nell’ectoplasmatica protagonista raggiungono esiti parossistici, proponendo sul piano sensoriale soluzioni davvero agghiaccianti. La voce fuori campo di una medium, Sylvia, è lo strumento che desta da una ritualità post mortem lo spettro di Emily, tormentato ben più di quanto ella stessa, prigioniera della ciclicità di quei gesti, possa lontanamente immaginare. Nella speranza di non rivelare troppo a spettatori ancora ignari, ci limitiamo a dire che l’indagine psichica sulla violenta scomparsa di Emily farà emergere una verità sorprendente, così scioccante da far scivolare la condizione esistenziale di lei, al bivio tra mondo terreno e un qualcosa di sconosciuto, in un abisso ancor più terrificante…
In  I Am a Ghost il turbamento assume forme differenti. Porte e finestre che dalla casa si aprono sul Nulla. Ricordi di una personalità schizofrenica, sofferente, progressivamente esclusa dal vivere civile. Impulsi violenti a lungo trattenuti che sfociano in un rancore cieco. Ponendo elementi come questi in una partitura filmica calcolata al millimetro, il cineasta statunitense H.P Mendoza (vincitore di premi sia con quest’opera che col precedente esordio al lungometraggio, l’apparentemente diversissimo Fruit Fly) è riuscito ad aggiornare brillantemente quel filone della “ghost story”, incentrato sul ribaltamento della prospettiva abituale, che aveva avuto in The Others di Amenábar e Il sesto senso di M. Night Shyamalan altri convincenti esempi. Il fatto che sia un trapassato a essere in un certo senso “disturbato” dai vivi, seppur con finalità salvifiche, si appoggia bene all’utilizzo straniante della messa in scena e del linguaggio cinematografico, piegato qui a un impiego quanto mai creativo dello split screen e della colonna sonora, strada facendo sempre più disturbante. Sono tutti segnali di una poetica non banale, espressa da un cineasta emergente che merita ulteriori elogi, avendo scritto, diretto e montato il suo film con una consapevolezza abbastanza rara.

Stefano Coccia

    

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