Va ora in onda: Il Terrore
Una delle definizioni che più ci piace, capace di farci stravaccare bendisposti in poltrona con gli occhi sgranati e la massima attenzione, è: “solido thriller coreano”. Se qualcuno presenta un film con questa formula magica, pensiamo subito “è nostro”. E infatti The Terror, Live è nostro. Girato interamente all’interno di uno studio radiotelevisivo, è la miliardesima riflessione sui media, ma per fortuna del tutto priva di sermoni e pretese meta-qualsiasi cosa. Essenzialmente un one man show, con i riflettori costantemente puntati sul protagonista – la star coreana Ha Jung-Woo – che si esibisce in una interpretazione impeccabile: un giornalista tv in declino, declassato in radio, che cerca di approfittare della telefonata in diretta di un terrorista per avere la sua chance di riscossa. Ovviamente gli eventi prenderanno una piega drammatica. Notevole anche la parata di comprimari, spietata galleria di personaggi avidi, ottusi e gretti, corrotti ed ipocriti: d’altronde se si parla di media in maniera onesta non può essere altrimenti. Piccolo spoiler: l’unica anima candida, in un certo senso, è il terrorista.
Il giovane regista Kim Byung-Woo (all’esordio nel mainstream coreano dopo due opere che più indipendenti non si può) si è concentrato sulla tensione narrativa, sui dialoghi mitragliati che danno alla pellicola un ritmo action come se fossero inseguimenti d’auto, usando l’altrimenti inflazionatissima camera a spalla con efficacia da reality adrenalinico, metodo che rimanda all’indimenticato United 93: paragone curioso, se si pensa all’immobilità dello studio radiotelevisivo e alla dinamicità di un aereo dirottato; il talento di Kim è però in grado di rendere il set più dinamico di un treno in corsa, il film quindi si allontana da opere apparentemente gemelle come In linea con l’assassino di Joel Schumacher (che peraltro si “aiutava” con lo stratagemma dello split-screen).
The Terror, Live è costato meno di un decimo di Snowpiercer: i due film sono arrivati nelle sale contemporaneamente, e il piccolo film di Kim ha avuto comunque un ottimo successo: più di 200.000 biglietti nel primo giorno di programmazione.
Nonostante l’apparente voglia di intrattenimento che sembra animare la regia, questo è un film profondamente politico, animato da un furore anti-establishment che prima evidenzia le patologiche gerarchie della società capitalistica e del mondo del lavoro in Corea (usando un linguaggio ultra-popolare: probabile concausa del successo al botteghino, insieme alla scelta riconoscibilissima dell’obiettivo dell’attentato esplosivo: il Mapo Bridge di Seoul), poi culmina in un finale da applausi, sopra le righe, eccessivo, proprio come piace a noi. Avrebbe potuto essere un dignitosissimo episodio di Black Mirror.
Dikotomiko
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