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Hollow

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VOTO: 7

Segreti di famiglia

C’era una volta il cosiddetto “horror day”. Sono lontani i tempi in cui a Udine ci si poteva permettere di allestire un’intera giornata di proiezioni, programmando a raffica le migliori produzioni orrorifiche dell’Estremo Oriente. Ineguagliabile rimarrà, per esempio, l’edizione che ospitò nello stesso giorno la raccapricciante saga di Ringu e il non meno conturbante Hypnosis di Masayuki Ochiai. Oggi come oggi bisogna accontentarsi. E anche se non vi è modo al momento di mettere in palinsesto un evento interamente dedicato agli appassionati del genere, scampoli di horror ben concepito hanno fatto capolino al Far East Film Festival numero 17 (almeno nella cifra qualcosa di sinistro si percepiva già) durante la mattinata del 29 aprile. Non ci riferiamo, per inciso, al mediocre e a tratti ridicolo coacervo di paure adolescenziali del thailandese Sophon Sakdaphisit, ovvero The Swimmers. In quella piscina maledetta ci abbiamo lasciato più risolini (ma non era una black comedy…) che veri e propri brividi. La sorpresa di giornata è giunta invece da un lembo della penisola indocinese, cui solitamente viene riconosciuta meno confidenza con tali produzioni cinematografiche: parliamo del Vietnam.

Hollow costituisce in tal senso una scoperta notevole. Il regista, Tran Ham, ha studiato all’UCLA di Los Angeles e in questo suo terzo lungometraggio (gli altri affrontavano a quanto pare generi diversi) ha dimostrato innanzitutto di sapersi rapportare all’horror con una notevole competenza tecnica, stilistica, fino a sfiorare in alcune sequenze un certo formalismo. Ma è soprattutto lo spessore di questa “ghost story” estremamente stratificata ad averci piacevolmente sorpreso… e atterrito. Dalla spaventosa scomparsa della sorellina della protagonista nelle acque vorticose di un fiume, dal suo miracoloso ritrovamento in una forma solo apparentemente umana, dalle storie allucinanti di sopraffazione maschile su giovani donne che la rituale vendetta degli spiriti fa progressivamente emergere, esce infatti fuori un tenebroso lungometraggio che sa tenere in equilibrio la componente psicologica individuale (l’importanza della maternità ribadita più volte, le tensioni tipiche dell’adolescenza) con uno spaccato sociale particolarmente inquietante. Sono anzi i punti di svolta del racconto, tali da creare una cesura ben visibile nello sviluppo diegetico, a far levitare il valore di Hollow, un horror soprannaturale che all’inizio sembra semplicemente giocare con le insicurezze e le inadeguatezze tipiche di un’età, per poi virare verso una critica coerente e feroce dei macabri esiti di un disagio sociale diffuso soprattutto nelle aree più depresse del paese, colpevolmente tollerato e reso qui evidente, in forma metaforica, dallo squallido sfruttamento dei giovani (se non giovanissimi) corpi femminili.

Stefano Coccia

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