Faccio a pugni con la vita
Terminati i titoli di coda di 100 Yen Love viene subito da pensare al lento rodaggio al quale Take Masaharu sottopone il suo film. Sulla carta quei primi quaranta e passa minuti servono al regista nipponico per piantare le fondamenta drammaturgiche, ma soprattutto per disegnare il profilo caratteriale della protagonista che lo anima, quel tanto che basta per consentire allo spettatore di entrare in empatia con lei. Si tratta di una precisa strategia destinata a portare – come avremo modo di vedere – a dei buoni risultati, ma che in linea di principio presenta delle possibili controindicazioni. In tal senso, il ritmo sincopato con il quale il regista sceglie di accompagnare la prima fase del racconto rischia, infatti, di allontanare il fruitore. Ma quando il rischio sta per diventare una minaccia concreta, allora è proprio il momento in cui Masaharu tira fuori dal cilindro il guizzo vincente, schiacciando il piede sull’acceleratore. Proprio la decisione di posticipare la posizione sulla timeline del turning point si rivela, a conti fatti, l’arma vincente di una delle visioni più piacevoli di questa 17esima edizione del Far East Film Festival. Quel passaggio si rivela cruciale, cambiando letteralmente pelle a una pellicola che si trasforma sotto gli occhi della platea, regalando sorrisi e momenti coinvolgenti (gli allenamenti). Quando ciò avviene, ossia nell’attimo stesso in cui la protagonista indossa i guantoni, si innesca una sorta di reazione a catena che riguarda il disegno del personaggio, il ritmo della narrazione e il suo tono.
Il regista giapponese porta sul grande schermo una black comedy atipica ambientata nel mondo del pugilato. Ma l’errore che non bisogna assolutamente fare è quello di iscriverla di default nel filone dedicato alla nobile arte, perché 100 Yen Love prima di essere un film sulla boxe è un film sul riscatto personale di una donna che inizia a sferrare pugni contro la vita. La storia al centro del plot è quella di una 32enne scansafatiche di nome Ichiko, commessa in un negozio “tutto a 100 yen”. La sua attenzione cade su un pugile a fine carriera, lunatico e taciturno, con il quale finirà a convivere. Quando lui la lascia, Ichiko inizia ad allenarsi nella palestra dell’ex fidanzato. Ed è grazie alla boxe che troverà la sua vera strada.
Inevitabile e scontato un paragone con Million Dollar Baby per le non poche analogie con il personaggio interpretato dalla Swank. Le dinamiche e le tematiche sviluppate dall’opera di Eastwood sono ben altre e toccano corde diverse (l’eutanasia ad esempio), ma per quanto riguarda lo sviluppo delle one line delle due figure centrali le affinità elettive sono piuttosto evidenti. Come Maggie, anche la Ichiko di 100 Yen Love rappresenta il modello della perdente di turno che trova il modo di riscattarsi quando la vita gli offre una seconda chance. Sarà la dura disciplina della boxe a permettere a entrambe di uscire dal guscio e da una condizione di emarginazione che le soffoca e le schiaccia. A dire la verità, né Masaharu né il più noto collega statunitense hanno scoperto l’acqua calda, ma ciascuno a proprio modo ha saputo offrire una chiave diversa a quella che è a tutti gli effetti la classica parabola sportiva ed esistenziale che, restringendo il campo alla filmografia pugilistica, ha già detto moltissimo grazie al Toro scatenato di Scorsese o alla saga di Rocky. Al percorso agonistico sul ring, il regista affianca quello umano e affettivo. Di conseguenza, quello combattuto da Ichiko sul ring è un match con se stessa prima che con la temibile avversaria di turno, un corpo a corpo con le paure, le umiliazioni e le insicurezze della quotidianità.
Masaharu filma questo incontro “epico” con il medesimo ardore della protagonista. La macchina da presa si attacca al suo corpo martoriato, va al tappeto e si rialza con lei, incassa e sferra la raffica di pugni. E la mente torna ad Alì di Michael Mann o a The Fighter di David O. Russell. E noi siamo lì sul quadrato a soffrire con Ichiko, nei panni dei quali si cala un’immensa Sakura Ando, che regala alla platea un’impressionante performance fisica e attoriale. E, credeteci, non importa quale sia l’esito alla fine dell’ultimo gong. Vincitori o vinti non fa differenza.
Francesco Del Grosso