Temperature febbrili
La possibilità di vedere un film capoverdiano è molto rara, vuoi per le ridotte dimensioni della nazione, vuoi per l’inesistenza di una vera e propria cinematografia locale e di conseguenza per scarsità di registi/e in attività. Non a caso la pellicola della quale ci apprestiamo a parlare, ossia Hanami di Denise Fernandes, è una co-produzione con Svizzera e Portogallo, realizzata da una cineasta nata a Lisbona da genitori capoverdiani e cresciuta in terra elvetica. Ecco perché l’occasione di vederne una offerta dalla 38esima edizione del Bolzano Film Festival Bozen, laddove è stata presentata in concorso dopo la fortunata anteprima al Festival di Locarno 2024 nella sezione “Cineasti del Presente”, non bisognava farsela assolutamente sfuggire. Ed è quello che abbiamo fatto, assistendo alla proiezione alla kermesse altoatesina, dove abbiamo avuto modo di apprezzarne le qualità.
Crescendo in Europa, l’autrice ha notato che il suo Paese d’origine era spesso omesso dalle carte geografiche proprio a causa delle piccole dimensioni. Motivo per cui, adesso che è adulta e di mestiere ha deciso di fare la regista, ha voluto renderlo visibile con gli strumenti che la Settima Arte le poteva mettere a disposizione. Nasce da questa mission un film, il primo per la Fernandes dopo una serie di cortometraggi e documentari, che ha fatto di Capo Verde e della sua gente il tema centrale e il cuore pulsante della storia. Siamo su una remota isola vulcanica, uno di quei luoghi mozzafiato ma che tutti vorrebbero lasciare. Il suo nome è Fogo. Qui vive e ha imparato a restare Nana. Sua madre Nia, affetta da una misteriosa malattia, se n’è andata subito dopo la sua nascita. Quando a Nana viene una febbre alta ed è mandata ai piedi di un vulcano per essere curata, incontra un mondo sospeso tra sogno e realtà. Anni dopo, quando Nana è ormai adolescente, Nia ritorna.
Con l’aiuto in fase di scrittura di Telmo Churro, l’autrice offre un incantevole scorcio di quest’isola vulcanica, insieme a una storia profondamente toccante di nostalgia e appartenenza. Il risultato è un romanzo di formazione che, tra momenti di realismo magico, verità d’impronta documentaristica e lampi di lirismo, racconta l’infanzia e l’adolescenza tra l’abbandono e il ritorno materno. Un arco temporale, questo, che viene rappresentato sullo schermo attraverso un riuscitissimo gioco di specchi e di vetri che sta a simboleggiare la vicinanza-lontananza tra la madre e la figlia, perché Hanami è anche un film sui legami affettivi e biologici interrotti e ritrovati. Un tema universale che entra a fare parte del ricco bagaglio di argomentazioni affrontate con grande cura, delicatezza e poesia (l’abbandono, l’adozione amorosa, il dilemma dell’emigrazione e il valore delle tradizioni) da un’opera prima che tocca diverse corde, anche emotive, facendo della metafora un portatore sano di messaggi e simboli: a cominciare dal titolo che si riferisce alla nota fioritura dei ciliegi in Giappone, evento che su un’isola di origine vulcanica come Fogo è un’utopia. Allora a sbocciare è la giovane protagonista che seguiamo nel percorso di fioritura mentre davanti ai nostri occhi da bambina si fa donna.
La Fernandes narra il tutto attraverso gli occhi e la voce di Nana (interpretata con partecipazione prima da Dailma Mendes e poi da Sanaya Andrade), in un film dalle immagini suggestive e al contempo dal grande rigore formale, con la cineasta che con long take mai ridondanti, intensi primissimi piani e dettagli insistenti su oggetti umili e panorami mozzafiato che vanno dalle deserte terre aride alle spiagge di sabbia nera, esplora e racconta il mondo interiore ed esteriore di una giovane donna.
Francesco Del Grosso









