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Greta

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VOTO: 6

Batti cuore mio

Per l’apertura della 33esima edizione del Festival Mix Milano, la scelta degli organizzatori della kermesse meneghina è caduta su Greta, il debutto al lungometraggio di colui che gli addetti ai lavori hanno definito il filmmaker di punta della nuova onda del cinema queer brasiliano. E fin qui nulla da eccepire, poiché il film di Armando Praça ha nel DNA una serie di elementi che lasciano intravedere il materializzarsi di una carriera dietro la macchina da presa lunga e ricca di soddisfazioni. C’è da dire, però, che molte altre potenzialità appaiono ancora cristallizzate e parcheggiate sulla carta, in attesa che il cineasta riesca a esprimerle nel migliore dei modi, mettendole al servizio di un talento che siamo sicuri esserci ma che non ha ancora mostrato i suoi frutti. L’opera seconda, se e quando arriverà, ci dirà la verità sul suo futuro, nel frattempo focalizziamo l’attenzione su questo esordio, presentato sugli schermi milanesi dopo un più che soddisfacente percorso nel circuito festivaliero inaugurato lo scorso febbraio alla 69esima Berlinale nella sezione “Panorama”.
Il film ci porta al seguito di Pedro, un infermiere omosessuale di 70 anni, fervido ammiratore di Greta Garbo, deve liberare un posto nell’ospedale in cui lavora per far ricoverare Daniela, la sua migliore amica affetta da un tumore in stadio avanzato. Per questo decide di aiutare Jean, un giovane che è appena stato ricoverato in ospedale e in stato di fermo per aver commesso un crimine, facendolo fuggire e nascondendolo in casa sua. Ben presto tra loro nasce una relazione amorosa travagliata a causa della differenza di età e di visione del mondo dei due, che cambierà per sempre la vita di Pedro.
Ambientato nel Brasile di Bolsonaro, Greta riflette sulle identità di genere e di orientamento sessuale, passando attraverso una complicata storia d’amore intergenerazionale che mette i personaggi di fronte a decisioni emotivamente, umanamente e sentimentalmente difficili da prendere. Per farlo, Praça rilegge a modo suo e in chiave intima e drammatica un testo teatrale di Fernando Melo dal titolo “Greta Garbo, Quem Diria Acabou no Irajá”, già adattato al cinema nel 1974 da Carlos Imperial nella poco brillante e riuscita commedia O Sexo das Bonecas. Il cineasta brasiliano preferisce guardare alla matrice originale piuttosto che alla rielaborazione del predecessore e, infatti, il risultato riesce a toccare quelle corde che Imperial non arriva neppure a sfiorare per un cambio di registro che ha depotenzializzato plot e one lines. Greta attualizza la storia spostando l’azione al presente, quello di un Paese travolto di una nuova ondata discriminatoria e omofobica, e mantiene le linee drammaturgica di Melo. Praça dal canto suo non commette gli stessi errori del connazionale e non a caso l’esito non sprofonda nelle sabbie mobili delle mediocrità. Semmai ne commette degli altri e riguardano soprattutto la parte centrale della timeline, laddove si rintracciano digressioni e situazioni fotocopia che dilatano e appesantiscono la fruizione, con una manciata di scene bollenti di troppo che aggiungono fisicità e nulla di più.
Il tutto si tiene a galla sulla superficie della sufficienza grazie e sopratutto all’interpretazione di Marco Nanini nei panni di Pedro, che si carica sulle spalle un personaggio dalle tante sfumature. Il tal senso, Praça si affida alla grande esperienza dell’attore, costruendo e impostando l’intera regia su di lui, inanellando uno dopo l’altro immagini in maggioranza fisse per ritrarlo al centro di quasi tutte le inquadrature.

Francesco Del Grosso

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