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That Cloud Never Left

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VOTO: 7.5

Eterna trasformazione

Un’eclissi di luna, l’eclissi più lunga della storia, è in arrivo. In un piccolo villaggio immerso all’interno di un bosco, le attività degli abitanti si fanno sempre più frenetiche. Lo stesso vale per una famigliola che vive qui – composta da una madre e dai sue due bambini – e che è solita fabbricare giocattoli per i bimbi del luogo. Questo è ciò che ci viene mostrato nell’interessante That Cloud Never Left, per la regia della giovane cineasta indiana Yashaswini Raghunandan, in corsa per il Premio Lino Micciché alla cinquantacinquesima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.

E se, di fatto, già l’ambientazione stessa del presente lungometraggio ci appare alquanto insolita, come pervasa da un’aura di magia, la cosa maggiormente degna di interesse all’interno del presente lavoro è proprio il fatto che la famiglia protagonista è solita fabbricare giocattoli con vecchie pellicole cinematografiche dalla prolifica industria di Bollywood. La cosa, dunque, si fa immediatamente assai simbolica.
Con un raffinato lavoro di sottrazione in cui sono realismo e minimalismo a fare da perfetti padroni di casa, la regista ha dato vita soprattutto a un sentito omaggio al cinema, per una storia per nulla scontata e decisamente unica nel suo genere.
La sua macchina da presa, dunque, fatta eccezione per qualche breve incursione nel mondo dell’astratto – con immagini fortemente virate al rosso e con pianeti che si muovono finendo per dare vita alla suddetta eclissi – segue passo passo i protagonisti con fare zavattiniano, concentrandosi a lungo sulle loro attività e sui loro lavori con le suddette pellicole. Ed ecco che, immediatamente, questi diventano i momenti più interessanti dell’intero lavoro. Momenti in cui l’obiettivo della macchina da presa non si allontana mai dalle mani dei personaggi, mostrandoci, con una calma e un silenzio che ben rendono la dimensione qui rappresentata, tutti i lenti procedimenti che portano alla creazione dei giocattoli. Le pellicole cinematografiche, dal canto loro, vengono prese così come sono per poi essere piegate, arrotolate, ritrasformate in qualcosa di nuovo, al punto di prendere immediatamente una nuova forma. Una nuova vita. La metafora, dunque, del cinema che non muore mai si fa, così, attrice principale dell’intero lungometraggio. Un cinema, il presente, inteso nella sua accezione più pura, più innocente, in grado di coinvolgere chiunque, dagli adulti fino ai bambini più piccoli, per un lavoro che può essere definito una vera e propria dichiarazione d’amore al mondo della settima arte. Un mondo in cui si torna all’innocenza, in grado di rendersi sempre immortale.
All’interno di un lavoro come il presente, tuttavia, v’è un particolare fattore che lascia alquanto perplessi. Se, infatti, in That Cloud Never Left è proprio la pellicola cinematografica a essere messa costantemente in primo piano, c’è da chiedersi come mai per la sua realizzazione si sia optato per il digitale. Motivi di budget? Probabilmente sì. Eppure, chissà che sapore avrebbe avuto questo interessante lavoro di Yashaswili Raghundanan se solo la cosa fosse stata possibile.

Marina Pavido

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