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Grandi bugie tra amici

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VOTO: 6.5

In onore dei bei vecchi tempi

Chi in questi anni non ha provato a immaginare almeno una volta un ipotetico futuro per i protagonisti di Piccole bugie tra amici. Carta d’identità alla mano ce se ne sono voluti la bellezza di nove per convincere Guillaume Canet a riportare sul grande schermo le disavventure tragicomiche della strampalata comitiva guidata da Max, che ritroviamo sfiancato dalle scadenze e da una situazione economica assai poco rosea, barricato nella sua storica villa al mare per riflettere sul da farsi. La stessa che per decenni ha visto il gruppo trascorrere estati indimenticabili, dove sono nati e finiti amori, si sono cuciti e ricuciti strappi e fortificati o inclinati legami affettivi. Ed è sempre lì che i suoi migliori amici, che non vede ormai da tre anni, bussano a sorpresa alla porta il giorno del suo compleanno. La sorpresa è ben riuscita, meno l’accoglienza che l’uomo riserva al gruppo. Ben presto Max precipiterà in un gioco di finzione e di falsa felicità che metterà la banda di fronte a delle situazioni a dir poco inattese. Nel frattempo i bambini si sono fatti grandi, altri sono venuti al mondo e i genitori non hanno più le stesse priorità. Le delusioni, gli incidenti della vita… quando tutti decidono di gettare la maschera, cosa resta allora dell’amicizia?
Domanda da un milione di dollari al quale Canet prova a dare dunque una risposta con Grandi bugie tra amici, sequel dell’apprezzata pellicola del 2010, che approda nelle sale nostrane a partire dal 12 settembre con Movies Inspired e BIM. Una risposta che ripensando a quanto visto nel primo capitolo ci ha soddisfatto solo in parte, perché il film in questione ha tutta una serie di fragilità strutturali, una minore scorrevolezza e freschezza narrativa, oltre che un flusso emotivo discontinuo e un livello di coinvolgimento inferiore, che non appartenevano al DNA dell’episodio iniziale di quella che siamo sicuri diventerà una trilogia. Lo dice l’anagrafe, l’affetto che abbiamo imparato a corrispondere ai personaggi che animano la storia, con tutte le debolezze e i difetti che albergano in ciascuno di loro, e lo ribadisce il potenziale e gli scenari ancora aperti di un racconto che nemmeno con i titoli di coda di questo sequel sembrano volersi esaurire.
In Grandi bugie tra amici, il regista e attore francese replica fedelmente lo schema della reunion già applicato nove anni fa, quello che per intenderci in Italia, con risultati davvero poco convincenti, colleghi come Muccino o Genovese hanno sfruttato per dare forma e poca sostanza ai rispettivi Baciami ancora e Immaturi – Il viaggio. Del resto non poteva fare altrimenti perché era la natura della matrice originale a dettare le regole del gioco, quelle di una dramedy corale sorretta dagli intrecci delle vite, dei non detti o dei detti a mezza bocca, dei segreti che rimarranno sepolti e delle verità sbattute in faccia. Ma le bugie, piccole o grandi che siano, si sa hanno le gambe corte e le carte finalmente scoperte sul tavolo chiuderanno e riapriranno una volta per tutte le partite rimaste in sospeso e in certi casi offriranno ad alcuni dei protagonisti l’occasione di un ulteriore rilancio. Nel frattempo ci accontentiamo di sorridere tutte le volte che il film ci mette nelle condizioni di poterlo fare (vedi la scena della colazione con le gemelle) o di commuoverci quando il cineasta e i suoi interpreti decidono di innestare la marcia empatica (l’epilogo in alto mare). Questi momenti e la qualità indiscussa di un cast davvero ben assortito dove ritroviamo parte della creme de la creme del panorama attoriale francese odierno (tra cui François Cluzet, Marion Cotillard, Gilles Lellouche e Benoît Magimel), mantengono a galla il progetto. Era lecito però aspettarsi molto ma molto di più da una prova orchestrale di questo calibro, con Canet che bacchetta alla mano ha tentennato un po’ troppo. E le responsabilità di queste indecisioni nella perfomance complessiva vanno ricercate per quanto ci riguarda in una sceneggiatura che si sforza in tutti i modi di tenere insieme e a fatica dinamiche e one lines.

Francesco Del Grosso

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