Al di là della punta dell’iceberg
«Sottovalutatelo a vostro rischio e pericolo» ascoltiamo nei primissimi minuti di Fahrenheit 11/09. Si tratta di un avvertimento che il documentarista Michael Moore fece ai suoi concittadini e, a posteriori, a distanza di alcuni mesi dall’elezione di Donald Trump, non si può negare che faccia un certo effetto ascoltarla. In fondo, come accade spesso, gli artisti sanno vedere laddove l’occhio “comune” non coglie. Le prime sequenze fanno rivivere allo spettatore i momenti finali dell’ascesa alla Casa Bianca, «sembrava la sfilata della vergogna» ed effettivamente i volti del politico, del suo entourage e dei famigliari non erano il ritratto della gioia.
Alle 2.29 del 9/11 del 2016 Trump è diventato il presidente degli Stati Uniti d’America. «Com’è potuto accadere?» si e ci interroga il regista – e non è un caso che la grafica del titolo “giochi” invertendo i numeri, rievocando l’11 settembre, una data storica non solo per quella nazione, ma sul piano mondiale. Subito dopo assistiamo alla creazione della riproduzione (molto fedele), a grandezza naturale, del «narcisista malefico». Moore ci ha abituati a non avere peli sulla lingua e parte dai media, evidenziando – anche tramite le sfumature – come da politico calcolatore sia riuscito a manipolarli, sfruttandoli a suo vantaggio, facendoli attendere e dando loro soddisfazione – a suo modo – quand’era il momento.
Uno dei punti focali consiste in un’amara verità: «come se facendolo pubblicamente fosse consentito». Cosa e quanto sappiamo di ciò che è accaduto e tuttora avviene? È una domanda che sorge spontanea assistendo ai lavori di Moore. Ultimamente alcuni, successivi a Fahrenheit 9/11 (2004), si erano rivelati particolarmente frammentari, perdendo il centro della questione che si voleva indagare. Con Fahrenheit 11/09 il documentarista torna a incollare lo spettatore sulla poltrona, trascinandolo nei meandri di ciò che non si sa, collegando tassello dopo tassello e coinvolgendolo in questo “gioco” di associazioni. Nel caso specifico, per dimostrare che «il nostro sistema è rotto», Moore ci conduce in una realtà che conosce molto bene, quella di Flint, dove per dinamiche politiche si è favorita la costruzione di un nuovo canale idrico rispetto a quello preesistente, fornendo alla popolazione un’acqua con una forte concentrazione di piombo. Le conseguenze si possono immaginare, il resto ve lo facciamo scoprire guardando il film. Questo è solo uno dei tanti pezzi di cui siamo messi all’oscuro. Ci si ritrova ad ammirare gli insegnanti che hanno lottato per i propri diritti – e non solo – e i ragazzi nella battaglia contro la facilità nel procurarsi le armi.
La voce di Moore, spesso ironica che qui, a un tratto, lascia ancora più spazio alle grida di dolore dei cittadini, ci accompagna in un viaggio all’interno di una “democrazia” sempre più messa a rischio (il collegamento con Hitler, anche nell’uso dei media e nel suo essere razzista sorge spontaneo). Non bisogna pensare – come verrebbe facile immaginare – che Fahrenheit 11/09 sia un lavoro meramente anti-Trump, ciò che affronta ci porta ancor più a dedurre che la sua elezione a presidente dell’America (che si forgia di essere una nazione democratica) è la punta dell’iceberg di un sistema logorato dall’interno in anni e anni. Va detto che, al di là della scoperta di situazioni specifiche che ignoravamo, non bisogna tirarsi fuori da tutto ciò, sia per gli stretti legami che intercorrono con gli Stati Uniti, sia perché il messaggio che Moore rilancia (rifuggendo da facili moralismi) ci riguarda tutti. Non si tratta di inseguire il sogno americano nell’accezione di chi idealizza ciò che ci viene restituito il più delle volte come bello e affascinante. «Dobbiamo mobilitarci per la libertà», assumendoci pure le nostre responsabilità, a partire dalla decisione di tornare a votare evitando l’astensione.
Dopo esser stato presentato alla Festa del Cinema di Roma 2018, il documentario è in programmazione nelle nostre sale 22, 23 e 24 ottobre. Vi anticipiamo anche che la7 ha acquisito in esclusiva i diritti tv per l’Italia, ma intanto vi consigliamo di recarvi in sala.
Maria Lucia Tangorra