Siamo tutti sulla stessa barca
Ci siamo caduti con tutte e due scarpe e dobbiamo ammetterlo. La visione di En amont du fleuve all’ottava edizione del Bif&st, dove è stato presentato nel concorso della sezione Panorama Internazionale, ci ha costretto a rivedere completamente la nostra posizione a riguardo, passando da un’iniziale curiosità e da legittima attesa pre-fruizione a una cocente delusione. Tuttavia, l’assenza di una palla di vetro in dotazione e di poteri di preveggenza, strumenti utilissimi entrambi per tenersi alla larga da certi film come quello diretto da Marion Hänsel, ci dovrebbero in parte consolare dal fatto di essere caduti nella trappola. Chiunque probabilmente avrebbe abboccato all’amo gettato in acqua dalla pluri-decorata cineasta, produttrice e attrice francese, perché la sua ultima fatica dietro la macchina da presa ha nel proprio DNA una serie di elementi che fanno pensare a un’opera con tutte le carte in regola per fare bene, ma purtroppo non sarà così.
Iniziamo con il dire che dietro la macchina da presa si è andata a sedere una regista che in passato ha saputo lasciare il segno con film importanti come Between the Devil and the Deep Blue Sea, Dust e The Quarry – La cava. In tal senso, la sua presenza al timone poteva certificare la bontà e la qualità del prodotto, ma in questo caso il risultato non ha rispecchiato per niente i reali valori in campo. Purtroppo, la lunga esperienza davanti e dietro la cinepresa non è servita a mantenere a galla il film e i diversi soggetti in esso coinvolti, a cominciare dai due interpreti principali che alternano momenti di lucidità e convinzione ad altrettanti di barcollante incertezza, quasi fossero pesci fuor d’acqua ai quali è stata negata una base solida, che può essere una direzione registica o una sceneggiatura. Nel caso di En amont du fleuve la mancanza si è avvertita in entrambi i fronti, con la coppia protagonista formata da due solidi attori come Olivier Gourmet e Sergi Lopez che non è stata supportata e aiutata a sufficienza. Le interpretazioni che hanno restituito sul grande schermo sono risultate discontinue, con qualche lampo (la discussione notturna sulla barca tra i due fratelli o il confronto fisico e verbale con l’avventuriero irlandese) che non è bastato però a cambiare rotta. La loro presenza nel cast, alla pari di quella della Hänsel, faceva ben sperare, con la possibilità di vederli in azione sullo stesso set che destava una certa curiosità. Ma anche qui, purtroppo, la sola presenza non è bastata a salvare il progetto dalla deriva. La regista marsigliese ha perso e fatto perdere la bussola, smarrendo completamente nelle gole di pietra che costeggiano il fiume e nelle foreste che fanno da sfondo al film, sia l’orientamento che la sicurezza mostrata in molti dei titoli firmati in passato. Ciò che resta di positivo, meritevole di essere ricordato, semmai sono proprio le ambientazioni, paesaggi naturali che restano impressi nella retina.
E per chiudere, ovviamente, arriviamo alla radice del problema, ossia allo script. Quest’ultimo presenta su carta tutti quei limiti che poi ritroveremo nella sua trasposizione e nella successiva messa in quadro. In En amont du fleuve ci troviamo a bordo di una piccola imbarcazione, dove i cinquantenni Homer e Joé tentano di risalire un fiume per raggiungere le cascate in Croazia. Fino alla recente morte del padre, i due ignoravano la reciproca esistenza. Ora però, sanno di essere fratellastri. Ben presto, ai due si unisce anche Sean, un enigmatico avventuriero irlandese. Un viaggio psicologico di due uomini miti e solitari che rivelano i propri segreti e le proprie speranze.
La sinossi fa pensare a un dramma familiare, a un confronto tra fratelli che non sapevano di essere tali e che per conoscersi affrontano un viaggio insieme. Questo li porterà all’incontro e allo scontro, ma anche a scoprire retroscena riguardanti la figura di un padre che aveva negato loro la possibilità di frequentarsi. Per un’ora sarà così, ma i sessanta minuti messi a disposizione del suddetto tema non saranno altro che un tracciato piatto con rarissimi picchi emotivi e drammaturgici degni di nota. Poi ariiva finalmente il tanto desiderato punto di rottura, con il materializzarsi di una linea mistery che riguarda i motivi del viaggio e le circostanze che hanno portato alla morte del padre. Ma anche qui la speranza che una scossa con un cambio drastrico di genere possa fare invertire la rotta svanisce dopo la visione dei restanti piatti trenta minuti finali. Del resto, il buongiorno si vede dal mattino.
Francesco Del Grosso