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El Paraíso

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VOTO: 7

Io ballo da solo

Destino, coincidenza o un piano a tavolino ben congegnato non sta a noi dirlo e probabilmente nemmeno lo sapremo mai, fatto sta che il cammino del nuovo lungometraggio di Enrico Maria Artale dal titolo El Paraíso, prima dell’uscita nelle sale il 6 giugno 2024 con I Wonder Pictures, è iniziato laddove era cominciato quello de Il terzo tempo, il suo film d’esordio, ossia nella sezione Orizzonti della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia.
A dieci anni esatti scoccati lo scorso settembre, il regista romano ha fatto nuovamente tappa al Lido per presentare in anteprima mondiale la sua opera seconda e anche questa volta non è tornato a casa a mani vuote. Se nell’edizione 70 della kermesse il suo film si era aggiudicato il Premio Pasinetti Speciale assegnato dal SNGCI, in quella numero 80 la giuria presieduta da Jonas Carpignano ha insignito la sua ultima fatica dietro la macchina da presa di due importanti riconoscimenti: quello per la migliore sceneggiatura e quello per la migliore interpretazione femminile. E, come allora, nel cast da lui scelto figura uno degli attori di punta della panorama nostrano, vale a dire Edoardo Pesce, che stavolta si è preso la scena vestendo i panni del protagonista oltre ad essere il coautore del soggetto. Se nella pellicola del 2013 era uno dei comprimari, in quella del 2023 è suo il ruolo principale di Julio Cesar, un quasi quarant’anni che vive ancora con sua madre, una donna colombiana dalla personalità trascinante. I due condividono praticamente tutto: una casetta sul fiume in quel di Fiumicino piena di ricordi, i pochi soldi guadagnati lavorando per uno spacciatore della zona e la passione per le serate di salsa e merengue. Un’esistenza ai margini vissuta con amore, al tempo stesso simbiotica e opprimente, il cui equilibro precario rischia di andare in crisi con l’arrivo di Ines, giovane ragazza colombiana reduce dal suo primo viaggio come “mula” della cocaina. Tra desiderio e gelosia la situazione precipita rapidamente, al punto che Julio si troverà a compiere un gesto estremo, in un viaggio doloroso che lo porterà per la prima volta nella sua terra di origine.
Per dare forma e sostanza alla storia narrata e ai personaggi che la animano, Artale ha attinto a situazioni di vita personalmente vissuta, rielaborandole e romanzandole per poi metterle a disposizione dell’impianto narrativo e drammaturgico di El Paraíso, titolo questo che altro non è che il nome con la quale è stata battezzata la barchetta a motore di proprietà di Julio. Figlio di un genitore incontrato solo una volta all’età di venticinque anni, il regista capitolino ha sentito infatti il bisogno di indagare il suo rapporto con la madre ovviamente senza rifarsi alla loro specifica relazione. Ed è da questa esigenza che è nata la storia d’amore tra una madre e un figlio raccontata nel film, che è più forte delle convenzioni sociali, ma è anche un atto psichico disfunzionale che dimostra l’impossibilità di accettare una naturale separazione. Artale cerca dunque di tracciare una linea che distingua amore e follia, la forza irriducibile del sentimento dalla paura profonda di restare soli per sempre. Lo fa attraverso un legame biologico basato sul sangue simbiotico/morboso, che si estende pure alla terra, quella di origine della donna e di riflesso del protagonista, che è la Colombia. Un avvicinamento alle radici culturali che restano sullo sfondo pur facendo sentire il loro richiamo e la loro presenza mediante le atmosfere, il ricorso alla lingua spagnola nei dialoghi, nei continui riferimenti, nella musica e anche nella fotografia. Quest’ultima, firmata da Francesco di Giacomo, è un bagno di colore che inonda le immagini facendo sentire la texture e il sapore del sudamerica.
Il risultato è un intenso dramma familiare che è anche un po’ romanzo di formazione e criminale. Con queste sfumature di genere l’autore affronta tematiche ed emozioni universali con sincerità e realismo, lo stesso che emanano le interpretazioni del già citato Edoardo Pesce e di una straordinaria Margarita Rosa De Francisco. Performance, le loro, che a conti fatti rappresentano un valore aggiunto per il film.

Francesco Del Grosso

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