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Tatami

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VOTO: 8

Contro tutto e tutti

Dopo l’anteprima mondiale nella sezione Orizzonti dell’80esima edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia, dove il film firmato a quattro mani dalla regista e attrice Zahra Amir Ebrahimi, vincitrice della Palma d’Oro per la migliore interpretazione femminile a Cannes 2022 per Holy Spider, e dal cineasta Guy Nattiv, Premio Oscar® nel 2019 per il cortometraggio Skin, era stato ben accolto sia dal pubblico che dagli addetti ai lavori presenti al Lido lo scorso settembre, sembrava che il cammino distributivo di Tatami alle diverse latitudini (fatta eccezione per alcune aree geografiche per ovvi motivi che è facile intuire) da quel momento fosse totalmente in discesa. Purtroppo non è stato così, con l’opera in questione che salvo successive apparizioni nel circuito festivaliero come quelle alle kermesse di Tokyo, Göteborg e Istanbul, non ha poi trovato terreno fertile sul versante distributivo e di conseguenza lo spazio che merita nelle sale. A provare a invertire la rotta ci pensato la BIM distribuzione, che dopo una prima uscita evento lo scorso 8 marzo in occasione delle celebrazioni della giornata internazionale della donna, ha deciso di bissare con un rilascio su più ampia scala a partire dal 4 aprile.
Di fatto l’Italia è dunque l’unico Paese ad oggi a distribuire la pellicola. Speriamo con tutto il cuore che questo serva a smuovere le acque e a dare la giusta visibilità a un’opera che si merita questo e altro, non solo per le qualità espresse, ma soprattutto per la serie di messaggi importanti e significativi dei quali si è fatta carico e portatrice sana, a cominciare dall’essere la prima collaborazione nella storia tra un regista israeliano e una regista iraniana. Il ché è già di per sé un segnale molto forte, non solo artistico ma politico, a maggior ragione visto il cattivissimo sangue che scorre tra due nazioni che si considerano a vicenda il “Grande Satana” e il male supremo. Ma come hanno più volte dimostrato, il cinema e l’Arte in generale sono capaci di andare oltre e di abbattere certi muri. Tatami è la dimostrazione che tutto questo è possibile, anche se non è stato per nulla semplice portare a termine quella che sulla carta e non solo era un’impresa titanica, che ha costretto gli autori a realizzare le riprese in gran segreto a Tblisi, a due ore di distanza da Teheran e da Tel Aviv. Ed è qui, nella capitale della Georgia, scelta per nulla casuale e anch’essa simbolica per il suo essere zona di frontiera e di confine tra l’Europa e l’Asia che è ambientata la vicenda al centro del film, quella che vede la judoka iraniana Leila Husseinie prendere parte al Campionato mondiale femminile di judo insieme alla sua allenatrice Maryam. L’atleta è intenzionata ad aggiudicarsi la prima medaglia d’oro dell’Iran in questo sport, ma nel pieno del torneo le due donne ricevono un ordine da parte della Repubblica Islamica, un vero e proprio ultimatum: o perdere o fingere un infortunio. È così che Leila si ritrova costretta a compiere una scelta ardua: finge di essersi ferita, dopo che Maryam la implora di conformarsi al regime iraniano, o sfidarli entrambi e continuare a gareggiare per il primo posto.
Quale strada deciderà di percorrere lo lasciamo ovviamente alla visione, peccato solo per un finale che pur nel suo non essere scontato, appare forse un tantino addomesticato ma non al punto da vanificare lo sforzo produttivo e quanto di importante mostrato e veicolato nei 100 minuti di un film che parte come uno sport-drama dalle venature socio-politiche per poi cambiare pelle strada facendo per trasformarsi in un thriller teso come una corda di violino. L’arrivo dell’ultimatum da parte della Federazione e del Governo iraniani, al quale seguiranno una serie di minacce che metteranno le protagoniste davanti a un bivio, rappresenta il punto d’innesco per quanto concerne la tensione, il ritmo e la temperatura emotiva che saliranno vertiginosamente fino al punto di ebollizione. Si assiste così a un’odissea che con lo scorrere dei minuti si fa via via sempre più incandescente, con il dramma e il thriller ad alto voltaggio che si mescolano senza soluzione di continuità per dare vita a un’opera che funziona come una bomba a orologeria destinata a implodere sullo schermo.
Dopo essersi alimentato dei temi e degli stilemi del film sportivo, utilizzandone anche gli strumenti e il modus operandi, Tatami si fa carico di alti contenuti politici che se non gestiti a dovere sarebbero potuti diventare una zavorra. La scrittura consapevole e strutturata di Guy Nattiv ed Elham Erfani hanno fatto in modo che ciò non accadesse, con la metafora dello sport utilizzata sapientemente come spazio dialettico in cui misurare gli equilibri diplomatici, ma anche dove le donne possono combattere ad armi pari la propria lotta per la libertà e la dignità contro le “ragioni” di Stato. Donne che nel quotidiano devono sottostare agli ordini di nazioni che non meritano le loro imprese, esattamente come quelle compiute da tutti quegli atleti iraniani che hanno perso le opportunità della vita e sono stati talvolta costretti a lasciare il proprio Paese e i propri cari a causa del conflitto tra sistemi e governi. Ecco allora che le gare, come quelle che si trova ad affrontare la protagonista nel corso del torneo, non sono mai solo vicende personali ma hanno sempre una temperatura politica e un valore altro. Il tatami in questo caso rappresenta qualcosa di più di un semplice reticolo dove si consumano uno o più atti di una competizione, alla pari dello scontro fisico che si fa anche lotta psicologica, politica ed esistenziale, trascendendo il singolo, il sesso, la razza e il credo. Ciò fa del film di Zahra Amir Ebrahimi e Guy Nattiv un’opera scomoda nei contenuti, ma soprattutto una dichiarazione creativa rivolta al mondo per la quale servono però occhi e orecchie aperti e attenti disposti a recepire il messaggio.
Occhi e orecchie, quelle degli spettatori di turno, che servono pure ad apprezzare le potentissime e intense performance dall’attrice americana Arienne Mandi (già vista nella serie tv The L Word: Generation Q) e della co-regista Zar Amir Ebrahimi, che si sono calate rispettivamente nei panni di Leila e Maryam, oltre al pregevole lavoro dietro la macchina da presa che si traduce in una messa in quadro asciutta, chirurgica nella composizione, ma ricca di soluzione visive fortemente impattanti. Il tutto immerso in un bianco e nero letteralmente scolpito tra il buio e la luce da Todd Martin e circoscritto in un 4:3 assolutamente funzionale al racconto. Combinati contribuiscono a rendere la fruizione ancora più ansiogena e asfissiante.

Francesco Del Grosso

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