Tu casa es mi casa
Un’esperienza provata sulla propria pelle o indirettamente su quella di una persona a noi vicina, positiva o negativa essa sia, può in qualche modo diventare lo spunto per una storia da raccontare. Ciò accade ed è accaduto molto spesso a tantissimi registi alle varie latitudini, che hanno trasformato un episodio o un incontro nella materia prima narrativa e drammaturgica di uno script. Tra questi c’è anche Agustín Toscano che ha fatto di un incidente occorso alla madre a causa di uno scippo il punto di partenza della sua opera seconda El motoarrebatador, presentata in concorso alla 37esima edizione del Bergamo Film Meeting dopo un fortunato tour nel circuito festivaliero iniziato alla “Quinzaine des Réalisateurs” di Cannes 2018. Parte di quanto a lei accaduto è rientrato nello script, a cominciare dall’incipit in media res, mentre l’ampia fetta restante è tutta farina del sacco del cineasta argentino, tornato dietro la macchina da presa a distanza di cinque anni dall’interessante esordio dal titolo Los dueños.
Dal mix di immaginazione e fatti reali è nato dunque l’originalissimo plot e i personaggi che lo animano. Siamo in quel di Tucumán, remota periferia dell’Argentina, dove Miguel tira a campare scippando a bordo della sua moto in compagnia di un complice. Nel rubare la borsa a Elena, un’anziana signora, involontariamente la ferisce in modo grave. Dopo il brutale incidente, tormentato dal senso di colpa e non riuscendo a togliersi dalla testa la vittima, Miguel decide di nascondere a Elena la sua vera identità e inizia a prendersi cura di lei, ignara di tutto. Mentre il loro rapporto si consolida, Miguel si ritrova sempre più vittima delle sue stesse bugie. Sullo sfondo, un clima di aperta tensione sociale: i tempi sono difficili, il saccheggio è endemico e la polizia locale è in sciopero.
Toscano va di fatto a incastonare una vicenda privata, che ruota e si sviluppa intorno all’ennesimo ladro gentiluomo in cerca di riscatto, affetto, redenzione e di una nuova vita per sé e per suo figlio, all’interno di un contesto e di una problematica sociale più ampia, vale a dire quella della crisi economica imperante, dell’innalzamento delle tensioni e del tasso di violenza. Le disavventure umane di Miguel e l’insolita storia d’amicizia nata tra lui e quella che giorni prima era stata una sua vittima si mescolano senza soluzione di continuità. Pellicole incentrate proprio sulla dicotomia tra vittima e carnefice non si contano più sulle dita delle mani, ciononostante il cineasta sudamericano è riuscito a portare sul grande schermo una serie di dinamiche capaci di sorprendere e prendere in contropiede lo spettatore di turno, diventando occasione per riflessioni sul pregiudizio sociale e sul rapporto tra il Bene e il Male. Ma la vera carta vincente nelle mani dell’autore sta nell’avere saputo stemperare il dramma di fondo iniettando nella scrittura dosi di sottile e intelligentissimo humour (vedi gli incontri in ospedale durante la degenza di Elena). Il risultato si tinge di conseguenza di venature comiche, consegnando al pubblico una dramedy che lavora abilmente sui toni seri e faceti. Quanto basta per creare un film in grado di emozionare e divertire allo stesso tempo, grazie alla scrittura, alle interpretazioni (straordinaria la coppia formata da Sergio Prina e Liliana Juarez) e anche alla regia, quest’ultima matura e decisa tanto nella direzione degli attori quanto nella ricerca di efficaci soluzioni stilistiche (vedi l’uso insistito di inquadrature fuori asse per simboleggiare l’incertezza che caratterizza l’esistenza del protagonista).
Francesco Del Grosso