L’Arte di scandalizzare
Quale occasione migliore se un un anniversario per ricordare qualcuno che con il proprio smisurato talento e genio ha lasciato tracce indelebili nella Storia. Nel caso di Egon Schiele, uno tra i maggiori artisti figurativi del primo Novecento, nonché esponente assoluto del primo espressionismo viennese e pupillo di Gustav Klimt, di tracce ce ne sono di inestimabili tanto sulle tele che ha firmato, quanto sulle pagine della Storia dell’Arte.
La sua vita così ricca di eccessi e la sua arte, consumatasi troppo in fretta in soli 28 anni lasciando però in eredità un corpus di opere impressionante che conta circa 340 dipinti e 2800 tra acquerelli e disegni, sono diventate la materia narrativa e drammaturgica della pellicola che il connazionale Dieter Berner ha deciso di dedicargli. Una pellicola, quella del cineasta austriaco, che dopo una prima apparizione nelle sale nostrane nel novembre del 2017, è tornata nuovamente nei cinema con la proiezione milanese alla terza edizione delle Giornate del Cinema Europeo Contemporaneo e con la due giorni evento (27 e 28 febbraio) voluta dalla Draka Distribution in occasione del centenario dalla morte del celebre pittore e incisore.
Berner porta sullo schermo il classico biopic sull’esistenza pubblica e privata di Schiele, segnata da un talento precoce e da un tormento interiore che sono stati per lui croce e delizia. Per raccontarla il regista austriaco sceglie una narrazione non lineare, preferendo ad essa un mosaico temporale fatto di flashback incastonati, che dagli ultimi giorni di vita dell’artista riavvolge le lancette dell’orologio per rievocare segmenti significativi dal 1911 in poi: dall’incontro con l’amata musa Wally Neuzil alle visite a Klimt, passando per il matrimonio di convenienza con Edith Harms, il rapporto ambiguo con la sorella e le note vicende giudiziarie che lo hanno visto protagonista nel 2018. Naturalmente ampio spazio, tra un episodio e l’altro, ai momenti che hanno portato alla creazione dei suoi celebri ritratti femminili, capolavori universalmente riconosciuti (su tutti il famoso dipinto “La morte e la fanciulla”, citato per il sottotitolo del film), ma così osteggiati dalla Società viennese dell’epoca, tanto da essere marchiati, bruciati e censurati, perché ritenuti blasfemi, scandalosi, provocatori, amorali e spinti.
Con Egon Schiele: Death and the Maiden, Berner dipinge una biografia parziale (l’arco temporale del racconto non scende oltre il 1911 e copre gli ultimi anni di vita del pittore, escludendo ad esempio l’infanzia, l’adolescenza e la formazione artistica, compresa l’espulsione dall’Accademia) che rende giustizia all’uomo ma in primis all’artista, che restituisce con onestà e senza veli vizi, eccessi e virtù del soggetto ritratto. Il regista non lo mitizza, ma lo mette a nudo, anche se non completamente e fino in fondo, poiché, a conti fatti, la scrittura e la sua trasposizione tendono a dare maggiore risalto al fuoco artistico e alla sua esternazione sulla tela, tralasciando invece alcuni aspetti importanti della sua psicologia. Aspetti, questi, che se presenti nel ritratto complessivo, avrebbero accresciuto il peso specifico del ritratto stesso. Questi ci avrebbero traghettato ancora di più nella sua mente e non solo nella sua intimità, aiutandoci a capire i motivi di certi atteggiamenti, dei “fantasmi” e dei traumi pregressi. Insomma, avremmo potuto capire tanto altro di lui e non solo il genio che lo ha fatto conoscere al mondo dell’Arte e non solo. Peccato.
Di conseguenza, se esiste una mancanza nell’opera, allora è proprio questa. Mancanza che si farà sentire al termine della visione e che non permetterà alla pellicola di saziare la sete di sapere della platea di turno. Ciononostante, tale limite non cancella quanto di buono e di qualità il film restituisce sullo schermo dal punto di vista del lavoro dietro e davanti la macchina da presa. Da una parte, il cast tecnico confeziona un film in costume curato nei minimi dettagli, a dimostrazione di uno studio attento dell’epoca; dall’altra quello artistico non passa inosservato e contribuisce a dare sostanza, spessore ed empatia ai personaggi. Ottimo il terzetto formato da Noah Saavedra, Maresi Riegner e Valerie Pachner, rispettivamente impegnati nei ruoli di Egon, Gerti e Wally.
Francesco Del Grosso