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Dove cadono le ombre

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VOTO: 6

Inquieto quanto la vicenda che racconta

Dal 1926 al 1986 l’associazione svizzera Pro Juventute operò per il reinserimento sociale di oltre 2000 bambini di etnia jenish, sottraendoli alle loro famiglie: nei suoi orfanotrofi si ricorreva a “metodi educativi” come la sterilizzazione, l’elettroshock e l’immersione in vasche d’acqua ghiacciata. Una volta che i piccoli venivano ritenuti sufficientemente civilizzati e uniformati all’etnia dominante, erano affidati a famiglie puramente svizzere e di classe altolocata. Eppure, per quanto la Pro Juventute operasse con accanimento e senza la minima esitazione, l’identità di un individuo può essere cancellata (e rimpiazzata) solo a costo di forti traumi destinati a reiterarsi, e gli adulti plasmati dalle pratiche dell’associazione filantropica porteranno nella mente e nell’animo i segni delle brutalità sofferte.
Primo lungometraggio di finzione di Valentina Pedicini, che nel 2013 aveva esordito nel panorama documentaristico con Dal profondo, Dove cadono le ombre ha il grande merito di raccontare un frammento storico poco conosciuto se non proprio dimenticato; come se non bastasse, riesce a salvaguardare la nobiltà della materia anche senza servirsi della Storia collettiva, ma concentrandosi sulla storia (vera) di due tra le tante vittime della Pro Juventute. Anna (Federica Rossellini) e Hans (Josafat Vagni) sono l’infermiera e l’assistente di un istituto per anziani apparentemente simile a tanti altri, ma le cui mura celano in realtà un oscuro segreto: non molti anni prima, infatti, lungo quei corridoi erano scorrazzati migliaia di bambini jenish e quelle stanze asettiche erano destinate alle cure meno ortodosse che si possano immaginare, il tutto svolto sotto la supervisione dell’algida Gertrude (Elena Cotta, Coppa Volpi a Venezia per Via Castellana Bandiera), che un giorno fa la sua comparsa nell’istituto. Non ci vorrà molto perché un passato doloroso e mai veramente dimenticato torni a pesare sull’animo di Anna, che tenterà a più riprese di distinguere la sua personalità da quella della persona che ne è in un certo senso l’artefice. Il difetto maggiore del film della Pedicini è quello utilizzare troppi stili e linguaggi: alla disperata ricerca di un’identità autoriale ben riconoscibile, il film mescola il più nudo realismo ad intuizioni horror/thriller poco incisive (una su tutte la sfilata dei piccoli camici bianchi lungo il corridoio), scadendo spesso in espedienti estetici (si veda quante volte la macchina da presa indugia su certi dettagli irrilevanti) che mal si adeguano a quanto ci viene raccontato. Anche le interpretazioni degli attori pecca di inautenticità: è probabile che con essa la Pedicini intendesse evocare il contesto alienante e spersonalizzato in cui si muovono i personaggi, ma la recitazione scattosa di Federica Rossellini (in scena praticamente per tutto il film) non raggiunge l’effetto voluto, e scena dopo scena ci ricorda che quanto stiamo guardando è finto, lontanissimo da noi (inutile dire che, trattandosi di una storia vera, questo è un difetto considerevole). Nonostante ciò, e se si tiene conto di quanto simili tematiche siano trascurate nel cinema italiano odierno, Dove cadono le ombre resta un tentativo meritevole di attenzione, le cui debolezze possono essere attribuite ad una personalità registica ancora incompiuta, ma che potrebbe sbocciare, ci auguriamo, in un futuro prossimo.

Ginevra Ghini

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