Il più pulito ha la rogna
La cinematografia sudcoreana ha sempre avuto una folta e variegata rappresentanza di titoli nella line-up del Far East Film Festival. Sicuramente ci sono state annate decisamente più generose in tal senso, tuttavia nella 27esima edizione della kermesse friulana da poco conclusasi ben otto pellicole provenivano da quell’area geografica. Tra queste c’era Dirty Money di Kim Min-soo, presentata in quel di Udine dopo le proiezioni nel 2024 in importanti vetrine festivaliere del circuito internazionale come quelle del Sitges e di Busan.
Per il suo esordio dietro la macchina da presa, che lo ha visto suo malgrado al centro di una lunga gestazione produttiva, lo sceneggiatore ha voluto puntare su uno dei generi più popolari e apprezzati da quelle parti, vale a dire il poliziesco dalle forti venature crime. Appigliandosi agli stilemi e ai caratteri fondanti dei generi chiamati in causa, mescolati spesso senza soluzione di continuità, l’autore, con la complicità in fase di scrittura di Hwang Eun-seong, ha portato sul grande schermo una storia “sporca” di corruzione come anticipa il titolo. Una storia in cui la legge e i suoi rappresentanti perdono la bussola della giustizia oltrepassando i limiti fino a pagarne le conseguenze. La storia è quella che ha come protagonisti Myung-deuk e Dong-hyuk, due detective in servizio nella città di Incheon. Le loro personalità sono assai diverse, ma condividono anche molto: sono partner nelle indagini sul crimine, si frequentano anche fuori dal lavoro ed entrambi accettano tangenti da un’organizzazione criminale cinese che ricicla denaro in Corea. Nonostante i soldi facili che intascano a nero i due sono pesantemente indebitati: Dong-hyuk e la sua fidanzata hanno un problema con il gioco d’azzardo, e hanno le mani bucate, mentre Myung-deuk è un po’ più assennato con il denaro, ma ha perso la moglie per malattia e ora anche la figlia undicenne è gravemente malata e non può lasciare l’ospedale, con crescenti spese sanitarie. Il ché li spinge a passare dall’altra parte della barricata per affrontare le ingenti spese e saldare i pesanti debiti accumulati quando un giorno i due ricevono una soffiata secondo cui una gang cinese sta per inviare una grossa somma di denaro in Cina. Sanno già quando e dove il denaro verrà consegnato, quindi presumono che sarà piuttosto semplice prendere a prestito alcune armi alla stazione di polizia, indossare dei passamontagna e sottrarre il denaro senza che nessuno si faccia male. La letteratura di genere ci insegna e ci ha ampiamente dimostrato in passato che certe cose non sono mai così semplici e i piani il più delle volte non vanno lisci come l’olio.
Come andrà a finire ovviamente lo lasciamo alla visione di un’opera che come da tradizione dei polizieschi sudcoreani si caratterizza per l’apprezzabile ritmo e per il vigore delle scene più dinamiche. Dirty Money da questo punto di vista non è da meno e soprattutto nella seconda parte, quando finalmente il regista decide di spingere il piede sul pedale dell’acceleratore, offrendo alla platea di turno una bella scarica di adrenalina. Il tutto in attesa di una resa dei conti al cardiopalma, di quelle che nella cinematografia sudcoreana di genere sono all’ordine del giorno. Il contrario sarebbe la vera notizia. Nella prima e abbondante ora la timeline invece si concentra su altro, ossia nel gettare le basi e delineare il quadro generale di una situazione per tutti ampiamente compromessa, che porterà i protagonisti, qui interpretati con discreta convinzione e una buona dose di fisicità da Jung Woo e Kim Dae-myung, a compiere una serie di disperati tentativi di risalita dopo avere raschiato il fondo del barile.
Francesco Del Grosso









