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Desconocido – Resa dei conti

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VOTO: 7.5

Bersaglio in movimento

Far crescere in maniera esponenziale la tensione per poi mantenerla alta sino all’ultimo fotogramma utile non è impresa da poco, di quelle che capita di vedere spesso oggigiorno sul grande schermo. Il più delle volte si assiste a una fisiologica flessione e di riflesso a una dispersione, causate entrambe dall’incapacità della scrittura prima e della trasposizione poi di gestire la tensione accumulata strada facendo. Fattore, questo, determinante ai fini della riuscita di un buon thriller che si rispetti. Ci riesce Desconocido – Resa dei conti, la pellicola firmata da Dani de la Torre che, dopo l’anteprima alle Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia 2015 e i due Goya conquistati (montaggio e sonoro) sulle otte candidature ricevute agli Oscar del cinema spagnolo, approda nelle sale nostrane grazie alla Satine Film.
La cosa in sé dovrebbe essere un motivo sufficientemente valido per andare al cinema a vederlo a partire dal 31 marzo, perché credeteci ne vale assolutamente la pena. Ma se ciò non bastasse allora va sottolineato a carattere cubitali il fatto che, a compiere la suddetta  impresa, è stato un esordiente assoluto, qui alle prese con la prima prova dietro la macchina da presa sulla lunga distanza dopo un valido e proficuo percorso sulla breve, anche nel campo degli spot pubblicitari e dei videoclip. Esperienze nel settore che hanno contribuito senza dubbio ad arricchirne il bagaglio tecnico e che traspaiono in maniera piuttosto evidente dallo stile e dal tipo di regia veloce ed eclettica proposta (vedi il piano sequenza in steady che accompagna l’arrivo del capo degli artificieri in Plaza de los jardines). Le numerose soluzioni visive messe a disposizione della scrittura permettono all’opera di trasformarsi in uno show audiovisivo ipercinetico e a tratti avvincente, ma per fortuna mai caotico e illeggibile alla retina umana come quelli proposti abitualmente da Michael Bay. Non si assiste a una mitragliata confusionaria di inquadrature messe una di seguito all’altra come avviene puntualmente nei film del collega a stelle e strisce, piuttosto a una successione di scene ricche di dinamicità, costruite una per una per calamitare alla poltrona il fruitore senza mandargli in tilt il cervello. Questo fa di Desconocido un film comunque spettacolare e non un giocattolone drammaturgicamente sterile, dove la storia e i personaggi non sono altro che dei soprammobili piazzati qua e là sullo schermo. Al contrario, il cineasta iberico mette la firma su un action-thriller che sa come intrattenere il pubblico, puntando deciso su una confezione di altissimo livello, ma anche su un contenuto degno di nota. Ciò che scorre davanti ai nostri occhi non è infatti un contenitore vuoto di solo intrattenimento a buon mercato, ma una pellicola che riesce a toccare anche temi attuali come la crisi economica, la speculazione finanziaria e la difficoltà a gestire i legami familiari. Il tutto in una cornice di cinema di genere. Certo non li approfondisce, non scava moltissimo in profondità nel dramma, ma quantomeno non li banalizza o li strumentalizza.
Quello di de la Torre è un film che racconta la storia di un direttore di banca ambizioso e spregiudicato che ha frodato i suoi clienti con investimenti fallimentari. Il suo nome è Carlos. Una telefonata anonima quanto inattesa trasformerà la sua giornata, iniziata nella normale routine quotidiana e familiare, in una folle corsa contro il tempo e contro un nemico, apparentemente invisibile, che rivuole tutti i suoi soldi, fino all’ultimo centesimo. Il plot non è originalissimo e come avrete modo di constatare molte dinamiche narrative rimandano di default ad altre che abbiamo potuto gustare in precedenza in operazione analoghe (da Speed a Die Hard – Duri a morire, da In linea con l’assassino a The Terror, Live, passando per Minuti contati). A differenza delle suddette opere, in Desconocido i nodi vengono piuttosto velocemente al pettine e non occorre aspettare l’epilogo per venire a conoscenza del perché. Il baricentro e il modus operandi sono di altra natura, così come le esigenze drammaturgiche. La linea seguita dal regista spagnolo non è quella mistery, bensì quella del revenge movie. Quindi alle cervellotiche elucubrazioni da sciogliere per arrivare al bando della matassa, si preferiscono scontri fisici e soprattutto duelli psicologici consumati sul filo di un equilibrio di nervi.
Teatro della “battaglia” l’abitacolo di un SUV, a bordo del quale viaggiano come schegge impazzite Carlos e i suoi due figli lungo le strade trafficate di La Coruna. Un’automobile in movimento, così come in Locke, diventa di fatto il campo di battaglia e un cellulare l’unico strumento di comunicazione tra le fazioni rivali. Una bomba piazzata sotto il sedile il fattore che sposta costantemente gli equilibri. Intrappolato tra due fuochi, da una parte il ricattatore che gli ordina al telefono cosa fare, e dall’altra la polizia che lo insegue e lo crede intenzionato a far esplodere la macchina con all’interno i propri figli, il protagonista (nei suoi panni un Luis Tosar in stato di grazie che firma un’altra grande performance dopo quella di Cella 211) dovrà cercare di mantenere il controllo della situazione, ritrovandosi anche a fare i conti con la crisi della sua famiglia e con la propria spregiudicata condotta personale.
Lo spettatore si trova al cospetto di un thriller serratissimo, con una corposa componente action che rende ancora più coinvolgente la fruizione. Il risultato è un’ondata di adrenalina mista ad ansia crescente che finisce con l’implodere nel faccia a faccia finale fra le prede e il cacciatore di turno,  laddove purtroppo viene alla luce quello che a conti fatti rappresenta l’unico punto debole presente sulla timeline, ossia una piccola perdita di credibilità per quanto concerne le dinamiche e i fatti narrati. Un neo – se così si può chiamare – che però non ne pregiudica la riuscita e l’efficacia. Ciò che resta è un film dal forte impatto drammaturgico e tecnico, che spinge il pubblico presente nella sala di turno a cento minuti circa di immersione in apnea, scanditi da un ritmo tachicardico che la messa in quadro e il montaggio spingono all’ennesima potenza, come il piede pigiato costantemente sull’acceleratore. Nel momento in cui il protagonista e la sua prole salgono a bordo del SUV nero si innesca una reazione a catena di eventi incontrollabili che costringono anche il pubblico a trattenere il respiro, perché di tempo per respirare nell’arco della visione via via diminuisce sempre di più. Per cui consigliamo di prendere dei lunghi respiri nei primissimi minuti, per evitare di rimanere senza fiato.

Francesco Del Grosso

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