Delphine non deve morire
A una fiera del libro Delphine, scrittrice di successo, autografa le copie del suo ultimo best seller. Così comincia l’ultimo film di Roman Polanski, D’après une histoire vraie (nella versione italiana Quello che non so di lei), che ha chiuso, Fuori Concorso, il 70° Festival di Cannes. Come prevedibile in bellezza. La scena iniziale di cui sopra è realizzata come una falsa soggettiva: vediamo i lettori in fila da quello che sembra essere il punto di vista della scrittrice seduta, ma in realtà la mdp è spostata più in alto della posizione della sua testa. Nel gioco di specchi metanarrativi di realtà e finzione messo in atto dalla scrittrice del romanzo da cui è tratto il film, Delphine De Vigan che racconta di una romanziera con il suo stesso nome che ha scritto un libro delicato e intimo, Polanski si inserisce ma solo fino a un certo punto. Il regista di origine polacca ha in effetti anche scritto un libro, un’autobiografia necessaria per raccontare la sua vita tormentata e la sua arte, “Roman by Polanski”, del 1984. E nel suo cinema trapelano anche i ricordi degli eventi traumatici della sua vita, della sua infanzia nel ghetto, in Il pianista ma anche nella barbara uccisione del bambino di Lord Macduff nel suo Macbeth.
Con D’après une histoire vraie parla della crisi di creatività di un artista, che si materializza con una pagina bianca al computer, che rimane tale durante il film, senza nemmeno essere riempita dalle filastrocche di Jack Torrance. Parla della scrittura come atto di cannibalismo morboso della vita, da cui ricavare materiale per i propri soggetti. In una storia che richiama fortemente quella di Misery non deve morire, dove la protagonista si lascia conquistare da Elle, giovane e conturbante ghost writer di biografie di star dello spettacolo, fino ad arrivare a un torbido rapporto di dipendenza, personale e artistica, da lei. E chiude il film con il titolo stampato del libro “D’après une histoire vraie” che diventa scritta sui titoli de coda del film, a sancire la conversione, l’intercambiabilità del testo interno con il film stesso. Con l’inedita collaborazione di Olivier Assayas, come cosceneggiatore, Polanski traspone fedelmente il romanzo di Delphine De Vigan. Ma in questo modo perdendo l’omogeneità letteraria, di un libro che racconta la storia di un libro. Evidentemente una eventuale conversione di medium, la scrittrice trasformata in regista e il romanzo in film, sarebbe stato troppo laboriosa.
A 83 anni Polanski si rivela un grande lettore della contemporaneità e della vita con le nuove tecnologie, dopo aver usato, per primo, in chiave narrativa il navigatore satellitare in L’uomo nell’ombra. Con D’après une histoire vraie è invece massiccio l’uso dei social network e di immagini interne create con telefonini. Probabilmente in questa scelta non è esente lo zampino del cosceneggiatore Olivier Assayas che con Personal Shopper aveva ideato quei dialoghi via messenger. Di fatto un film che parla di letteratura, sposa in pieno anche il linguaggio della comunicazione attuale.
Polanski rimane un autore disturbante e innovativo ma anche un solido regista classico, capace di costruire un film su e con gli attori, come in Carnage. Sui corpi e gli sguardi di Eva Green ed Emmanuelle Seigner, due donne sensuali che instaurano un rapporto conturbante. Ritratti femminili del regista di Repulsion, di vittima e mantide, dove, forse, abbandona la sua celebre misoginia.
Giampiero Raganelli