Piccole parole d’amore
C’è da scommettere che questa nuova versione di Cyrano (anglicizzato, mi raccomando!) firmata da Joe Wright sarà destinata a dividere il giudizio in due distinte fazioni. La prima, festante, apprezzerà gli innegabili aggiornamenti arrecati al testo di Edmond Rostand, la fedeltà di base all’autore originale nonché la ripetuta sottolineatura di quel sentore universale chiamato sentimento amoroso. Il personaggio principale, Cyrano, è infatti certamente innamorato, ma pure corto di naso e assai basso di statura, visto che lo interpreta l’ottimo Peter Dinklage, attore ben conosciuto per la sua nota caratteristica fisica. Christian (Kelvin Harrison Jr), l’uomo per cui l’emancipata e determinata Roxanne (Haley Bennett, molto più in parte nel recente e angosciante Swallow di Carlo Mirabella-Davis), plurimo oggetto/soggetto del desiderio della popolazione maschile del film, spasima in un amore da colpo di fulmine, è un uomo di colore, senza però che tale pigmentazione epidermica generi particolari risvolti a livello razziale. Ci sono anche pulsioni omosessuali in nome del politically correct in voga oggi e tanti altri dettagli che dovrebbero in teoria completare il lavoro di modernizzazione dell’opera. A partire dalla componente musicale, visto che in questa versione di Cyrano, presentata in anteprima europea alla Festa del Cinema di Roma 2021, i personaggi esprimono le proprie emozioni, sia esse gioiose che tristi, attraverso l’arte del bel canto.
Eppure – spostando il discorso sulla seconda fazione, quella degli scettici – il Cyrano griffato Joe Wright non riesce ad uscire da una certa convenzionalità, tessendo sì le estasiate lodi della parola amorosa in grado di toccare l’anima, e tuttavia ignorando più o meno consapevolmente la complessità del rapporto sentimentale nella propria interezza. La tensione drammaturgica è risaputa e, cosa ancora più grave, l’arte affabulatoria partorita dal protagonista – ed espressa anche per interposta persona, come è noto da un’interpretazione per il resto abbastanza filologica del testo di partenza – manca di quella brillantezza presente in altre versioni, non ultima quella della amabile commedia Roxanne (1987) di Fred Schepisi, dove Cyrano era interpretato da un efficacissimo Steve Martin dall’eloquio irresistibile. Probabilmente Joe Wright, nel corso di una carriera ormai divenuta corposa, si è convinto che la forma sia assai più importante del contenuto. Ecco allora che in Cyrano si finiscono con l’ammirare incondizionatamente scenografie e costumi (questi ultimi del nostro Massimo Cantini Parrini) e si lasciano correre, affidandole al normale flusso narrativo, istanze di assoluta pregnanza incentrate su diversità e sentimento.
Forse ci sarebbe voluto un tipo di autore alla Baz Luhrmann, per realizzare uno spettacolo pop dal sapore autenticamente moderno, pur mantenendo la medesima ambientazione temporale del testo originario. Al contrario Wright da alla luce un lungometraggio nato già con le rughe, anche se certamente, proprio per tale motivo, provvisto di quel fascino “vecchio stile” capace di far palpitare generazioni di spettatori non esattamente di primo pelo. Anche per quella ostentata ricerca, in verità non sempre a fuoco, di fondere nel medesimo calderone ironia e tragedia, con quest’ultima destinata a prevalere perché i destini umani sono sempre manovrati da qualcuno troppo in alto, molto disposto al rancore ed alla conseguente vendetta. Ve lo sareste mai aspettato?
Daniele De Angelis