In cerca degli affetti
Vi consigliamo di memorizzare i primi fotogrammi di Cuernavaca perché torneranno, quando, in teoria, lo spettatore dovrebbe essere in grado di ricollegare alcuni tasselli. In quest’opera prima Alejandro Andrade sceglie di raccontare il percorso del piccolo Andy (Emilio Puente) dopo un lutto che arriva come un fulmine a ciel sereno. La sua condizione di bambino la percepiamo subito, vuole, giustamente, giocare e tende ad avere con sé una sorta di “coperta di Linus”, il mantello. Quest’ultimo ricorda il costume da supereroe, ma forse, scavando ancora più sottilmente, è un elemento che serve anche a nascondersi e questi due aspetti riemergeranno nel corso dello sviluppo drammaturgico (simbolicamente parlando). In un momento di relax con la madre (Mariana Gajá), proprio perché il Male è dietro l’angolo, mentre la donna cerca di responsabilizzarlo, dandogli i soldi per pagare al bar e invitandolo a lasciare il mantello sulla sedia, i “cattivi” irrompono, sottraendogli colei che ha di più caro. Accade così che Andy viene prelevato da Città del Messico per trasferirsi a Cuernavaca, una lussureggiante regione al centro del paese, dove, in attesa di ricongiungersi col padre (Moises Arizmendi), avviene il suo incontro con l’anziana nonna paterna, (una sempre in parte Carmen Maura) che non aveva mai conosciuto, e la zia affetta da sindrome di down, molto protettiva verso di lui. Il piccolo viene attratto, tra l’altro, dal giovane aiuto giardiniere (Diego Álvarez García) a cui chiede supporto (indagando su che fine abbia fatto il padre scopre un cellulare). Come spesso accade in questi romanzi di formazione, l’età non è sinonimo di maturità e per certi aspetti, Andy si rivela molto più maturo del genitore.
In Cuernavaca c’è tanta carne al fuoco (più o meno riuscita), con il “viaggio” di passaggio all’età adulta proposto sia in chiave fisica (non si può non pensare a Il giardino segreto) che ideale. Quando Andrade si addentra nel terreno minato del simbolismo si percepisce un po’ più di fragilità, anche se la caduta della gueva dall’albero, assalita dalle formiche, è molto sintomatica di ciò che accadrà, oltre che meravigliosamente onirica. A proposito di sogni, il nostro protagonista ne fa tanti e tutti spesso strettamente connessi alle paure da metabolizzare.
Cuernavaca si perde un po’ nella seconda parte, quando i colpi di scena diventano abbastanza prevedibili così come le reazioni dei personaggi. La maschera da supereroe è stata seppellita quando il disincanto ha prevalso, come si evolverà ulteriormente il cammino di Andy il regista messicano ce lo fa vedere, lasciando, forse, anche un briciolo di apertura.
Il film è stato presentato in selezione ufficiale alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma.
Maria Lucia Tangorra