Compagni di viaggio
Nei suoi pluridecorati cortometraggi, tra cui Touch Me e Mena, Eileen Byrne ha dimostrato un’eccezionale capacità di ritrarre ruoli femminili forti in modo autentico e lontano dai cliché, creando storie dense di atmosfera. Per il suo debutto sulla lunga distanza c’era dunque bisogno di qualcosa che si sposasse con le suddette qualità e caratteristiche, godendo a sua volta delle stesse. Quel qualcosa la regista lussemburghese l’ha trovato, anche se sarebbe più corretto dire che si sono trovati a vicenda date le affinità elettive, nella pagine dell’acclamato romanzo “La fossa delle Marianne” di Jasmin Schreiber. Ed è nata da questo incontro l’opera prima della Byrne, che del libro della biologa e scrittrice tedesca (in Italia edito da Alphabeta) è la trasposizione cinematografica, in uscita nelle sale nostrane dal 24 aprile 2025 con Trent Film dopo avere chiuso la 38esima edizione del Bolzano Film Festival Bozen.
La visione in anteprima alla kermesse altoatesina, oltre a mettere in evidenza quelli che vedremo essere i pregi della pellicola in questione, ha confermato quelle che sulla carta erano e sono i punti di contatto e le corrispondenze tra la matrice letteraria e la scrittura dell’autrice da una parte e il profilo artistico e l’approccio della regista dall’altra. Corrispondenze tali che hanno fatto della Byrne il tramite ideale per trasformare in materia audiovisiva il toccante e potente libro della Schreiber, con quest’ultimo che a sua volta rappresentava una base e un punto di partenza perfetti sui quali la cineasta ha potuto contare per esprimersi al meglio nella sua prima prova sulla lunga distanza. Non è un caso che la sceneggiatura firmata dalla stessa regista sia rimasta molto fedele al racconto originale, all’essenza dei personaggi che lo animano e nel disegno della linea sottile tra umorismo e dramma che costituisce la colonna portante del romanzo. Proprio la capacità con cui la Schreiber riesce a muoversi sul confine tra tragedia e commedia, che la Byrne fa suo per poi restituirlo sullo schermo attraverso un commovente road movie che esplora temi universali e dal peso specifico rilevante come il dolore, la perdita e la riapertura alla vita, sfumandoli da momenti di umorismo surreale e una grande quanto pacata leggerezza.
Con e attraverso questo calibratissimo e riuscito mix, La fossa delle Marianne racconta un viaggio in camper alla volta di Trieste di una coppia di personaggi apparentemente incompatibili: da una parte c’è Paula, una ragazza tormentata dal senso di colpa per la morte del fratellino Tim annegato durante una vacanza nella città giuliana in un momento di distrazione; dall’altra l’anziano, malato ed eccentrico Helmut che ha bisogno del suo aiuto per riportare le ceneri della compianta moglie Helga nel Sud Tirolo. Lungo la strada Paula scopre che l’uomo è ancora ossessionato dalla scomparsa del suo unico figlio, morto cinquant’anni prima in circostanze del tutto simili a quelle di Tim. Nonostante le differenze generazionali e caratteriali e attraverso conflitti e momenti di intimità, durante i quali entrambi cercano di affrontare i propri traumi, i due sviluppano una profonda connessione, con le rispettive e analoghe sofferenze che finiscono per avvicinarli emotivamente e trovare un inaspettato conforto reciproco.Il viaggio on the road assolve anche in questo caso al classico e collaudato compito di tramutarsi in metafora del percorso interiore dei protagonisti, così come il titolo, che chiama solo metaforicamente in causa la celeberrima depressione oceanica più profonda della Terra, serve per mostrare la lenta ma fondamentale risalita a galla e alla vita del personaggio principale dagli abissi del dolore e della sofferenza. La fossa delle Marianne è la cronaca di questo duplice percorso a ostacoli che si riversa e si traduce in una parabola dolceamara sulle asprezze della vita, sulla capacità di superarle e sul ritornare a gioire delle cose di tutti i giorni. Il tutto reso emotivamente incalzante e credibile dalle intense performance della giovane attrice svizzera Luna Wedler e del più famoso tra gli attori caratteristi tedeschi, ossia Edgar Selge. I due si completano a vicenda creando una chimica che è il vero valore aggiunto di un film che la Byrne dirige con sobrietà e mano ferma.
Francesco Del Grosso