Col cazzo che muoio!
Avrebbe dovuto chiamarsi Andrà tutto bene e uscire lo scorso marzo, poi le note cronache pandemiche hanno stravolto i piani di Francesco Bruni e della sua quarta fatica dietro la macchina da presa. Quelle tre parole nel frattempo erano diventate il motto scelto dagli italiani per accompagnare la resistenza e la lotta per la sopravvivenza al Covid-19, trovando spazio praticamente ovunque lo si potesse imprimere a caratteri cubitali. E allora cambio di strategia con il nuovo nome di battesimo in Cosa sarà, che riporta la mente a quarant’anni fa e all’omonimo brano firmato da Lucio Dalla e Francesco De Gregori, con conseguente slittamento dell’uscita nelle sale al 24 ottobre, in tempo utile per affacciarsi qualche ora sugli schermi prima della nuova serrata voluta dal Governo per fronteggiare la seconda ondata di CoronaVirus, con il Dpcm che impone nuovamente la chiusura dei cinema e non solo.
Titolo e distribuzione a parte, la sostanza non cambia, con la pellicola del regista e sceneggiatore livornese che ha regalato a chi come noi ha avuto la fortuna di vederlo nella prima fugace apparizione pubblica un flusso di emozioni forti che accarezza le corde del cuore, strappando sorrisi dalle labbra e facendo inumidire le guance. Il tutto attraverso un mix di ironia a malinconia, commedia intelligente e tragedia umana, attraverso il quale l’autore costruisce una tranche de vie che parte da un’esperienza personale vissuta sulla propria pelle dallo stesso cineasta. Esperienza poi abilmente romanzata e diventata il tessuto narrativo di una dramedy che ci catapulta senza se e senza ma nell’esistenza di un uomo che si trova improvvisamente faccia a faccia con l’ineluttabile, che rimette in discussione tutto. Quell’uomo è Bruno Salvati, un regista (non uno di quelli con la carriera sfavillante) che si è appena separato dalla moglie Anna, madre dei suoi due figli adolescenti. Dopo aver accusato un malore, il protagonista scopre di essere affetto da una patologia e ha bisogno di un donatore. La rivelazione del suo stato di salute porta il regista a rivalutare i legami familiari, soprattutto con suo padre Umberto. Sarà proprio suo padre a rivelargli un segreto che porterà il figlio a viaggiare alla ricerca di qualcuno che potrà aiutarlo.
Cosa sarà non è però l’ennesimo diario ospedaliero dal punto di vista del paziente, perché si focalizza sugli eventi che precedono l’intervento che potrebbe salvare la vita al protagonista. A quel filone ci ha pensato già il grandissimo e indimenticabile Mattia Torre a dare un enorme contributo, con quella perla seriale lasciata in eredità e che risponde al nome de La linea verticale. Non a caso è al compianto collega e alla sua folgorante scrittura che Bruni ha deciso di dedicare il suo nuovo film, un film in cui torna a parlare di temi a lui cari come la famiglia, i legami affettivi, il rapporto genitori-figli (vedi Scialla! e Noi 4) e l’importanza della memoria (Tutto quello che vuoi). E nel farlo ci mostra, tracciandolo scena dopo scena in una narrazione cronologicamente non lineare tra flashback, allucinazioni e cortocircuiti onirici, un percorso affettivo, psicologico ed emotivo. Il risultato è un film che parla della malattia che ti attraversa e che ti resta dentro, lasciando cicatrici indelebili, ma soprattutto un’opera che parla di fragilità e del diritto di potere essere fragili, anche quando il mondo intero ti spinge a indossare una corazza, sempre e comunque. Una corazza che Bruni prima e il suo alter ego cinematografico poi, affidato alla bravura di Kim Rossi Stuart, dalla quale hanno deciso di spogliarsi proprio per mostrarle le fragilità, mettendosi a nudo senza remore.
Qui Cosa sarà trae la sua linfa vitale drammaturgica e narrativa, alimentata dal primo all’ultimo fotogramma utile da una leggerezza mai banale e superficiale, che si poggia lieve sul petto e sulla retina del fruitore di turno come una piuma. Allo spettatore il compito di raccoglierla e conservarla come esempio di sincerità, bellezza e intensità, ingredienti che trasudano tanto dal lavoro dietro quanto da quello davanti la macchina da presa, laddove l’autore firma la sua pellicola più riuscita e il suo variegato cast a disposizione offre delle performance di altissimo livello (su tutte quella di Fotinì Peluso).
Francesco Del Grosso