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La trattativa

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VOTO: 8

“Il sentiero dei soldi”

«Siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo, ci proponiamo attraverso l’uso del nostro specifico (il comportamento degli attori, i registi, i tecnici) di ricostruire le tre versioni ufficiali, cioè quelle avallate dalla magistratura, sul presunto suicidio dell’anarchico Pinelli».
Vogliamo partire da questa dichiarazione fatta da Gian Maria Volonté nell’incipit del corto di Elio Petri – Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli (all’interno del documentario Documenti su Giuseppe Pinelli realizzato da Petri e Nelo Risi) – per parlarvi de La trattativa di Sabina Guzzanti. L’artista dichiara apertamente di essersi fatta molto influenzare da questo lavoro del regista di Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto a tal punto da “ricopiarne” l’idea, ne prende in prestito quella dichiarazione di intenti e diremmo anche di onestà intellettuale perché è questa la sensazione che si percepisce mentre si assiste alla rappresentazione della trattativa Stato-mafia. Non c’è peccato di presunzione né rispetto alla verità assoluta né rispetto al cinema di impegno civile di Elio Petri, ma per quanto la Guzzanti non voglia mettersi a paragone, memore degli insegnamenti lasciati da alcuni maestri del nostro Cinema (coloro che davvero meritano l’accezione di “maestro”) tra cui Petri, cerca la propria strada e dopo Draquila – L’Italia che trema (2010), torna a impastare le mani in una materia troppo magmatica.
Cosa sappiamo noi della trattativa Stato-mafia? E soprattutto i giovani, spesso chiamati come “le leve del futuro”, che idea hanno? Uno dei punti centrali suggeritoci dal film sta proprio in questo: lasciamo stare per un attimo il futuro, tanto l’idea ci è stata uccisa da tempo, ma guardiamo al passato, proviamo a ordinarlo così da comprendere il presente in cui ci (ri)troviamo.
Quanto ci riguarda La trattativa? Sembrerà una domanda banale, eppure il docu-film ci fa respirare quell’aria di corruzione come qualcosa di più vicino di quanto immaginiamo.
Queste sono solo alcune delle domande che accompagnano la visione dello spettatore, nonostante i fatti più importanti siano già conosciuti (gli altri sono agli atti, magari son stati anche raccontati, ma solo in articoli o trasmissioni di approfondimento), sentirli e vederli di fila ha un effetto spiazzante per la logica che li sottende, enfatizzata dalla sottile ironia che nasce dalla realtà più che da mere frasi di raccordo. È proprio il caso di dirlo: quando la realtà supera la fantasia (e lo diciamo nel massimo del rispetto dei morti ammazzati per mafia).
Dopo un inizio di fiction ispirata alla realtà, basta un carrello indietro e il meccanismo scenico è svelato, si vede il teatro di posa (tutto il film è girato su green screen) e con esso tutti gli strumenti che servono per mettere a fuoco questo legame endemico. I primi auctor sono gli attori che agiscono nel teatro di posa, diretti dalla voglia di apportare il proprio contributo nel prendere consapevolezza di questi temi, di questi volti, di queste morti. Un plauso va fatto a loro: Maurizio Bologna, Ninni Bruschetta, Franz Cantalupo, Claudio Castrogiovanni, Sabino Civilleri, Michele Franco, Sabina Guzzanti, Enzo Lombardo, Filippo Luna, Nicola Pannelli, Sergio Pierattini. Tutti questi interpreti si sdoppiano in più ruoli, passando dal mafioso di turno al magistrato, come se la Guzzanti volesse suggerirci che la linea di demarcazione è troppo labile e al contempo cavalca e svela il gioco della recitazione. Sembra che applichino su di sé l’effetto di straniamento di Brecht, ma non sullo spettatore, che al massimo prende le distanze solo per difesa.
In un equilibrio delicato, ma che funziona come un orologio svizzero (ottimo il lavoro di montaggio), i due linguaggi si amalgamano e incontrano. «La finzione, del resto, è quasi per intero basata su verbali e testimonianze, con poche e calibrate licenze poetiche. Il documentario arriva dove la finzione non può arrivare e viceversa» (dalle note di regia) – e questo continua compenetrazione è dichiarata (vedi nel finale: «ci siamo sentiti chiamati a usare l’immaginazione»).
Va riconosciuto alla Guzzanti un coraggio non da poco nel dire e nel prendersi la responsabilità di ciò che affronta; non è nuova a questo tipo di impegno, ma questa pellicola è molto probabilmente il lavoro più riuscito, in cui la cruda realtà dei fatti si sposa grazie a un’anima che lega tutti i fili, a tal punto che anche quegli episodi di cui abbiamo visto più volte le immagini (come le stragi di Capaci e di via d’Amelio) risuonano come un fulmine a ciel sereno, ma senza retorica.
Noi non possiamo farvi il riassunto di quelli che son stati i passi che hanno rinfoltito e continuano a rinfoltire la trattativa, né vogliamo farlo perché non è questa la sede; possiamo solo invitarvi alla visione de La trattativa – presentato Fuori Concorso alla settantunesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia – per guardare attraverso altri occhi la nostra Storia; sono occhi che non vogliono strumentalizzarvi, ma solo guidarvi nella ricostruzione di una storia.
Qui non c’è politica nel senso demagogico del termine né in quello circoscritto di un partito perché l’Arte esercita la “politica” come sguardo e a noi sta coglierlo per poi fare ognuno le proprie riflessioni: perché se sullo schermo è artificio, quei fatti sono pagine del nostro passato recente e del nostro presente.

Maria Lucia Tangorra

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