Mannaggia a li pescetti
Il titolo di questa tragicommedia famigliare, come esplicita uno dei dialoghi più significativi del film, aspira a essere metaforico. Ed è anche una delle note di regia che abbiamo letto sul pressbook a ribadire tale interpretazione: “I nostri protagonisti sono come pesci nel mare e, come fanno i pesci in natura, ognuno attua la sua strategia di sopravvivenza: c’è chi si unisce al branco e chi salta fuori dalla rete. Come saltano i pesci è un film che parla di famiglia, una famiglia come tante altre ma che nasconde un segreto…”
Eppure, come dice un noto proverbio, tra il dire e il fare c’è di mezzo proprio… il mare!
Nel soggetto di Come saltano i pesci abbiamo difatti trovato singoli spunti assai interessanti, che però non vengono mai elaborati in maniera del tutto coerente, sotto il profilo registico e drammaturgico. È soprattutto l’incertezza del registro da adottare, in un racconto la cui coralità s’afferma sbilenca, a creare qualche spaesamento: troppe volte nel film si passa senza apparente ragione da toni malinconici, inquieti, intimisti, a dialoghi farseschi ed eccessivamente leggeri che paiono più in linea con gli episodi meno curati di una fiction televisiva che con una scrittura cinematografica realmente matura.
Peccato, perché lo spunto e le atmosfere iniziali non erano affatto disprezzabili. Un incidente nella notte, introdotto nella storia assieme ad altri simultanei episodi che fanno il punto della situazione sulla vita dei diversi personaggi, rappresenta il fulcro della progressiva scoperta di legami famigliari o semplici affinità elettive, tra soggetti che fino ad allora avevano sempre vissuto distanti, ignari l’uno dell’altro. Il funerale della madre naturale, fin lì ignota a uno dei protagonisti, si trasforma così in precario orizzonte degli eventi, in punto di raccolta delle scombinate esistenze accorpate attraverso un improvvisato road movie dell’anima, in meta di quel viaggio che ha portato ad altrettanto strabilianti rivelazioni.
Avvilito però da un montaggio schizoide, che in parte vanifica le scene emotivamente più cariche, mortificato da dialoghi non sempre all’altezza, il nuovo lungometraggio di Alessandro Valori (già regista di Chi nasce tondo… e Radio West) perde strada facendo la sua genuinità andandosi ad impantanare in siparietti famigliari o di natura sentimentale ora troppo prevedibili, ora troppo strampalati e grotteschi. Neanche un cast alquanto affiatato, su cui il carisma di interpreti come Giorgio Colangeli e Biagio Izzo esercita senz’altro influssi positivi, riesce quindi a tenere insieme un racconto cinematografico ben poco coeso, affidato com’è agli umori del momento.
Stefano Coccia