Fuoco vivo
Uno dei primi postulati da rispettare, se si vuole ambire alla realizzazione di un buon film del genere catastrofico, è quella di rendere la forza distruttrice dotata di vita autonoma, in pratica al medesimo livello – se non superiore – dei vari protagonisti umani di cui è composto il film. Lezione che l’ex attore Peter Berg, di suo uno dei registi maggiormente dotati nell’ambito del cinema d’azione di non banale intrattenimento (The Kingdom del 2007 e Battleship del 2012, tanto per menzionare un paio di titoli della sua filmografia da regista), ha dimostrato con Deepwater – Inferno sull’Oceano di aver recepito in tutto e per tutto.
Tratto da un tragico fatto di cronaca accaduto il 20 aprile 2010 – giorno in cui la piattaforma semisommergibile Deepwater Horizon, deputata alla trivellazione petrolifera nel Golfo del Messico, ebbe un tragico incidente che ne causò la distruzione, con conseguente disastro ambientale – il lungometraggio diretto da Berg è abile nel creare sin dalle prime sequenze un’atmosfera di palpabile tensione, da quando il protagonista Mike Williams (un efficiente Mark Wahlberg, ormai fedelissimo presenzialista di ogni fatica cinematografica operata da Peter Berg) trascorre le ultime ore in famiglia prima di iniziare il fatidico turno sulla piattaforma. I presagi si fanno funesti nel momento in cui la piccola figlia accosta la ricerca del petrolio sotto la crosta marina al risveglio dei dinosauri, a proposito dei quali ovviamente ha appena studiato a scuola l’origine del prezioso “oro nero”. E le sequenza in cui il regista mostra agli spettatori quelle che appaiono come una sorta di semi-soggettive della perforazione incutono in effetti una certa sensazione d’angoscia, come andassero ad intaccare la superficie di un qualcosa di vitale, pronto a far pagare un prezzo altissimo alla presunta onnipotenza umana. Tralasciando la componente, del resto non troppo sottolineata dallo script poiché data quasi per scontata, “politica” del film – quella cioè riguardante lo sciagurato comportamento dei dirigenti della società proprietaria della piattaforma, consapevoli delle numerose defaillance dei sistemi di sicurezza – si potrebbe infatti assimilare Deepwater alla categoria degli eco-vengeance: cioè quel sottogenere di disaster-movie in cui Madre Natura finisce con il ribellarsi alle eccessive angherie umane perpetrate nei suoi confronti.
D’altro canto il film di Berg s’inserisce abilmente anche nel classico filone del racconto di radice strettamente umanista, teso a fotografare l’eroismo dell’uomo nella lotta impari per la sopravvivenza contro gli elementi. Ben sbozzati i caratteri dei vari personaggi – buon ruolo per Kurt Russell, sorta di Cassandra purtroppo non ascoltata – si finisce con l’essere coinvolti nel loro fronteggiare gli incendi che dilagano in ogni angolo della base marina, rendendo appassionante la spettacolarizzata vicenda di un dramma già scritto dalla Storia e nel Destino. E pazienza se il tipico “racconto americano” trascura volutamente qualsiasi accenno di codardia – comportamento assai più consono alle caratteristiche umane, come ben si sa – per raccontare solamente l’estrema solidarietà che muove le azioni di coloro che, disperatamente, cercano di salvare vite altrui ben prima della propria. Anche la retorica di questo tipo viene comunque tenuta abilmente sotto controllo, rimanendo al di sotto del livello di guardia.
Se dunque si desidera una full-immersion in un tipo di cinema che conobbe il suo massimo splendore negli anni settanta (un esempio per tutti L’inferno di cristallo, girato nel 1974 da John Guillermin) Deepwater – Inferno sull’Oceano risulta un lungometraggio confezionato ad arte proprio allo scopo di ravvivare – certo con l’indispensabile ausilio della computer graphic del tutto sconosciuta quarant’anni orsono – antiche emozioni cinematografiche che parevano ormai perdute. E senza bisogno dell’ormai abusato 3D per truccare le carte in tavola. Anche solo per questo motivo meriterebbe il film firmato da Peter Berg una visione tutt’altro che distratta…
Daniele De Angelis