Sono quel che sono
Per il suo esordio nel lungometraggio dal titolo Before I Change My Mind, il regista e musicista canadese Trevor Anderson ha deciso di trarre spunto dall’esperienza personale e dal proprio vissuto, riavvolgendo le lancette dell’orologio sino al periodo della sua adolescenza. Per farlo è tornato al 1987 e trovato nel personaggio di Robin, interpretato dall’attore non binario Vaughan Murrae, il protagonista perfetto del film presentato di recente al 37° MiX dopo le prime apparizioni nel 2022 al Festival di Locarno e alla Festa del Cinema di Roma, rispettivamente nelle sezioni “Cineasti del Presente” e “Alice nella Città”.
Per lui e il suo clone cinematografico Before I Change My Mind rappresenta un’occasione per parlare e raccontare di un periodo pieno di tumulti costanti, di sogni, fragilità, sentimenti cangianti, paure, gioie, ma anche di ostacoli che sembrano insormontabili come montagne impossibili da scalare. Ci troviamo dunque al cospetto d quello che per contenuti e tematiche è di fatto un capitolo di un romanzo di formazione, le cui radici, stilemi, basi narrative e modus operandi possono contare su una letteratura sterminata. Il ché non fa altro che facilitare il cammino di avvicinamento della pellicola di Anderson al pubblico di turno. Eppure c’è qualcosa che permette al film di andare oltre lo schema predefinito del filone di riferimento e quel qualcosa sono le pennellate drammaturgiche e stilistiche con le quali l’autore, sia in fase di scrittura che di messa in quadro, ha “dipinto” il suo autoritratto.
Il risultato è un coming-of-age non-binary che stravolge il genere (e i generi) con un’estetica pop sofisticata, colta ed ironica. A prima vista il film sembra perseguire l’agenda di tanto cinema sociale, ma in realtà cerca in modi diversi di raccontare l’adolescenza com’è davvero, con tutta la sua ambigua, inconsapevole e profonda complessità. Sta in questa capacità il punto di forza di un’opera che al contempo riesce con una veste vintage e nostalgica a farci rivivere e respirare le atmosfere dei mitici anni Ottanta, oltre che a sfruttare al meglio i cambi di registro e di tonalità, dispensando sorrisi (le scene della gita piuttosto che delle prove del musical) e momenti di commozione (il doloroso cammino che porta all’epilogo). Il tutto con il contributo di un cast che arricchisce ulteriormente l’ottimo materiale di partenza. Da segnalare a tal proposito le performance del già citato Vaughan Murrae e quella di Matthew Rankin, noto regista canadese (suo il folgorante esordio The Twentieth Century) prestato qui alla recitazione per vestire in maniera efficace i panni di Dan, padre di Robin.
Francesco Del Grosso