Paura d’amare
Da sempre attiva nella lotta per i diritti della comunità LGBT+, la scrittrice e regista Shamim Sarif ha con le sue opere letterarie e audiovisive per il piccolo e grande schermo contribuito in maniera significativa alla causa. Lo ha fatto diventando una pioniera e assidua frequentatrice del lesbian romance firmando romanzi, film e serie (vedi The World Unseen o I Can’t Think Straight) che ruotano e si sviluppano intorno al suddetto genere e a tormentate storie d’amore come quella delle protagoniste di Polarized, presentato in anteprima italiana nel concorso lungometraggi della 37esima edizione del MiX.
Con la sua ultima fatica dietro la macchina da presa, l’acclamata cineasta britannica di origini indiane ci risucchia nel vortice che si viene a creare dall’inevitabile attrazione tra due donne mentre superano le barriere di razza, religione e classe che le hanno divise. Si tratta di Lisa, un’aspirante cantautrice country, la cui famiglia di agricoltori ha subito un pignoramento che ha costretto la ragazza a cominciare a lavorare in una moderna fattoria urbana guidata da Dalia, una giovane donna palestinese trasferitasi con la famiglia nella comunità agricola canadese, dove ha avviato una fattoria Agri-Tech che produce cibo organico e causa il fallimento delle fattorie tradizionali dei dintorni. Lisa, che proviene da un mondo contadino sorpassato, viene presto licenziata a causa dei suoi comportamenti razzisti e omofobi. Ma la conoscenza con Dalia ha smosso qualcosa di inaspettato in lei.
Siamo dunque alle prese con un nuovo dramma sentimentale dall’intenso sapore melò e dal retrogusto shakespeariano che ha come baricentro narrativo e messaggio finale l’avvicinamento tra due esistenze agli antipodi dopo il superamento degli ostacoli di cui sopra e l’azzeramento delle distanze. Dinamiche, queste, universali e familiari per lo spettatore, poiché precedute e alimentate da una letteratura sterminata che consente alla storia e ai personaggi di turno di dare per assodati molti step e arrivare immediatamente al nocciolo della questione. Di conseguenza, Polarized non ha nessuna intenzione di tergiversare proprio in virtù di un plot e di one-lines già ampiamente codificati e di facile lettura, che di fatto non hanno caratteri o sviluppi inediti da aggiungere proporre o ad aggiungere. Il ché rende la pellicola un racconto classico per il romance in generale tanto nella forma quanto nei contenuti, attraverso il quale la Sharif approfitta per continuare un suo personale discorso sul multiculturalismo che è di fatto un tema centrale nella sua filmografia, ma anche per dispensare un flusso cangiante di emozioni che per fortuna non vengono mai meno. Sono proprio le emozioni che il film e le interpretazioni di Holly Deveaux (Lisa) e Maxine Denis (Dalia) riescono a veicolare il punto di forza.
Al contrario, purtroppo, alcune argomentazioni tirate in ballo non vengono approfondite quanto avrebbero meritato e richiesto (vedi la crisi economica nel settore agricolo o ancora l’impatto che certe pratiche religiose possono esercitare sulle vite dei credenti), sulle quali la scrittura prima e la trasposizioni poi preferiscono sorvolare dopo averle appena accennate. Mancanze che a conti fatti depotenzializzano l’opera e la fanno galleggiare sulla superficie della sufficienza.
Francesco Del Grosso