Si dice il peccato, ma non il peccatore
«Si dice il peccato, ma non il peccatore». Questo proverbio fa capire che quando qualcuno racconta un fatto delicato ad un altro, fa bene a farlo però non deve rivelare il nome di chi è protagonista dell’accaduto. Nel nostro caso al “peccatore” in questione si può attribuire la sola “colpa” (se così la si può chiamare) di avere trasformato il movimento della Street Art in forma d’arte mainstream e popolare, mettendo insieme un impero multimilionario e modificando la concezione stessa dell’arte. Per chi non lo avesse capito è di Banksy che stiamo parlando, il fantomatico artista e writer britannico, considerato uno dei maggiori esponenti della street art (anche nota come post-graffiti e guerrilla art) al mondo, la cui la cui vera identità rimane ancora sconosciuta. Anonimato che non ha fatto altro che aumentare l’aurea di mistero intorno alla sua figura e alimentare anno dopo anno l’immaginario. Motivo per cui i tantissimi curiosi hanno provato a dargli un volto: secondo uno studio condotto dal Mail on Sunday nel 2008 l’elusivo artista britannico sarebbe Robin Gunningham, mentre altri sostengono che si tratti del musicista e graffitista Robert Del Naja dei Massive Attack, altri ancora pensano che sia una donna, oppure un collettivo di sei artisti riuniti sotto lo stesso nome. Fatto sta che tutti i tentativi non hanno mai avuto alcun riscontro, tant’è che sul nome e l’identità di Banksy si brancola ancora nel buio.
Poco si sa dunque sul suo conto, se non che la sua città natale è Bristol, perché a parlare per lui sono sempre stati gli stencil dallo stile inconfondibile sparsi sui muri di mezzo mondo (tra cui quelli sulla barriera di separazione israeliana), portatori di messaggi politicamente rilevanti e di tematiche dal forte impatto sociale (la manipolazione mediatica, l’omologazione, le atrocità della guerra, l’inquinamento, lo sfruttamento minorile, la brutalità della repressione poliziesca e il maltrattamento degli animali), oltre che per le spettacolari incursioni in musei e nelle gallerie d’arte più blasonate del quale si è reso protagonista. Si è detto e visto tanto e di tutto da quando la fama ha iniziato a precederlo, infatti ci sono libri e documentari che hanno toccato diversi aspetti del suo lavoro e della sua vita, ma nulla che abbia mai ripercorso tutta la sua storia. Ed è qui che trova il motivo d’interesse e sopratutto di essere all’interno della ricca produzione audiovisiva a lui dedicata (tra cui Exit Through the Gift Shop e il più recente L’uomo che rubò Banksy), il documentario di Elio España dal titolo Banksy – L’arte della ribellione, distribuito nelle sale nostrane da Adler Entertainment dal 26 al 28 ottobre.
La pellicola è una biografia a tutti gli effetti, diversa dunque da tutto quello che è stato realizzato sin qui con e su di lui. Fattore che cambia le carte in tavola, offrendo al pubblico una narrazione che non si concentra solamente sulla sua identità, sul suo modo di concepire e fare Arte, ma anche sul suo intero percorso di formazione. España disegna un ritratto su di lui ma senza di lui (stralci di sue dichiarazioni affidate alla voce di un attore), che racconta la storia completa della sua carriera: dai primi lavori come giovane graffitaro underground fino a diventare l’artista più famoso e controverso del ventunesimo secolo. Una parabola che copre un arco temporale che dagli anni Ottanta arriva sino ai giorni nostri, in cui Banksy ha rivoluzionato e sconvolto partendo dai bassifondi e dai muri di Bristol il modo di fare Arte. Nel farlo, l’autore è partito dal suo background, allargando poi lo spettro alla scena culturale e sociale che lo ha visto crescere e diventare quello che è oggi. Così facendo, il film ha mostrato lati inediti, spesso messi in secondo piano, che emergono da uno studio approfondito sulla sua figura, sulle sue gesta e sulla sua produzione. Il tutto reso possibile attraverso il modus operandi classico del racconto corale (interviste al promotore d’arte Steve Lazarides, ex braccio destro di Banksy; l’artista di fama mondiale Ben Eine, uno dei collaboratori più stretti di Banksy; John Nation, che ha gestito il progetto di graffiti in cui è iniziata la storia di Banksy; i famosi street artist Risk, Felix Braun, KET & Scape, oltre a diversi esperti e critici d’arte) e del setaccio in un raro archivio proveniente da collezioni private.
Banksy – L’arte della ribellione è un documentario semplice e lineare, nel quale lo spettatore di turno può andare a rintracciare tutto quel non detto e mai esplorato del famigerato artista britannico.
Francesco Del Grosso