Le invasioni barbariche
Non sempre allargare il campo d’azione e alzare l’asticella della spettacolarità si rivela una buona premessa di partenza, specialmente se regia e sceneggiatura non riescono a star dietro a queste, rinnovate, ambizioni. Se il primigenio Attacco al potere rappresentava, in fondo, una non spiacevole filiazione del sottogenere action stile Die Hard, con Gerard Butler a vestire i panni del nuovo Bruce Willis trovatosi per caso a fronteggiare con successo l’inopinato assalto di terroristi nordcoreani – e non solo – nientemeno che alla Casa Bianca presidenziale, questo inevitabile sequel fa capire quasi immediatamente che, dietro la macchina da presa, non fa più capolino la solida professionalità di Antoine Fuqua, bensì l’anonima propensione alla direzione del traffico ordinario (leggere sparatorie, esplosioni e massacri assortiti senza ritmo) di tale Babak Najafi, carneade le cui note biografiche ci informano essere un quarantenne svedese di chiare origini iraniane dal curriculum piuttosto scarno.
Dando per scontato che la verosimiglianza narrativa non debba essere il piatto forte della saga – in Attacco al potere 2 si vede un’assai ramificata organizzazione terroristica al soldo di un ricchissimo trafficante d’armi mettere a ferro e fuoco una Londra in versione “città aperta”, dopo aver attirato i più importanti capi di stato a seguito della morte dolosa del Primo Ministro – in questo specifico caso si esagera nell’accentuare a dismisura le peculiarità della nuova guerra che il mondo sta vivendo. Dopo un promettente prologo in cui i famigerati droni statunitensi, mancando maldestramente il loro bersaglio – il teorico Good Kill di Andrew Niccol ha già fatto, volontariamente o meno, proseliti – e colpendo vittime innocenti sembrano fornire una credibile motivazione alla vendetta che seguirà, il tutto si perde strada facendo nella più trita retorica a stelle e strisce della guerra giusta per la libertà, le vittime umane sacrificabili in nome della buona causa, nonché l’occhio per occhio come unica regola possibile per ristabilire lo status quo e via farneticando. Persino l’umorismo, raramente di grana così grossa, si adegua alla grevità dell’insieme, trasformando il rapporto tra i personaggi di Gerard Butler e Aaron Eckhart (nuovamente a vestire gli scomodi panni del Presidente U.S.A.) in un incongruo buddy movie nel pieno di un uragano di pallottole ed esplosioni. E non migliora il quadro generale tanto un profluvio di effetti digitali molto poco speciali quanto una caratterizzazione assai sommaria sia dei personaggi di contorno che dei vari capi di stato destinati, chi più chi meno, a turpe fine; con la palma del ridicolo involontario destinata di diritto al premier italiano Antonio Gusto (sic!!), ennesima riproposizione dello stereotipo berlusconiano (e non solo) che prevede un politico di età avanzata accoppiato ad una ragazza giovane e piacente.
In sostanza il film di Najafi sembra parlare, in misura assai maggiore, alla pancia del suo pubblico di riferimento (qualunque esso sia…) piuttosto che rievocare dolci ricordi cinefili in quello spettatore mediamente interessato a qualcosa che non sia puro esibizionismo muscolare, perdipiù pesantemente viziato da un incorreggibile manicheismo, di buoni versus cattivi. Non rimane dunque che sperare come Attacco al potere 2 non finisca con il rappresentare uno dei primi “film manifesto” dell’era Trump, probabile candidato repubblicano alla presidenza statunitense (nella realtà, stavolta…). Un po’ come Top Gun lo fu del reaganesimo imperante negli anni ottanta. Allora sì che un trascurabile, per non scrivere molesto, action nella finzione si trasformerebbe improvvisamente nel più inquietante degli horror nella quotidianità reale di quattro lunghissimi anni per il mondo intero.
Daniele De Angelis