Catturare un momento nel tempo su pellicola
Il found footage è spesso citato come una semplice tecnica cinematografica nel quale si riutilizza un materiale precedente in modo da dargli un nuovo significato. Si può considerarlo anche come qualcosa di più. Un atteggiamento intellettuale ed emotivo nei confronti del mezzo cinematografico, qualcosa ai limiti del feticistico e che si incasella in un sentimento più ampio verso l’opera d’arte e ciò che può significare per l’artista. La nuova serie horror di Netflix, Archive 81 – Universi alternativi, partendo proprio dal found footage come concetto ne illustra bene le possibilità.
Prodotta da Rebecca Sonnenshine e James Wan, i quali si sono ispirati all’omonimo podcast online di Daniel Powell e Marc Sollinger, la serie si evolve rispetto all’oramai limitato copione inaugurato nel 1999 da Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez per il loro The Blair Witch Project.
Quel film all’epoca si rivelò una sorpresa e, perlomeno per il grande pubblico, un nuovo approccio al genere horror. Tuttavia ha anche dimostrato tutti i suoi limiti nel corso degli anni, non essendo riuscito a generare un vero e proprio sotto-genere a sé stante. Tutti gli epigoni si sono scontrati con le difficoltà tecniche di girare un lungometraggio finzionalmente basato su materiale ritrovato.
La pellicola rimase dunque un capitolo sostanzialmente unico. Fino ad Archive 81.
Qui la vera differenza la fa la capacità dei produttori e della showrunner Sonnenshine di compiere un evoluzione del linguaggio found footage di The Blair Witch Project. L’opera di Myrink e Sánchez era sì intelligente ma rimaneva ad un livello di idea pratica. La serie di Sonnenshine e Wan ha invece una impostazione molto più raffinata ed intellettuale che possiamo certamente rivedere nella riproposizione di atmosfere e tematiche largamente mutuate dal cinema fantascientifico degli anni Cinquanta e dall’horror demoniaco degli anni Settanta, in una curiosa commistione tra la serie Ai confini della realtà ed il film Rosemary’s Baby, quanto in un’intelligentissima trovata di montaggio nella quale, all’interno della serie si passa dal tempo passato al tempo presente usando proprio i filmati ritrovati che sono al centro della trama. Questa idea ha un’importanza tanto grande da diventare centrale per l’economia della serie poiché permette di stabilire vari legami a più livelli tra i personaggi e gli spettatori e, soprattutto, ci ricorda il vero nucleo di quell’atteggiamento verso il cinema che usiamo definire come found footage. Ovverosia l’interesse primario del cineasta verso il supporto fisico del film, la pellicola, e tutto ciò che ruota intorno ad esso.
Il found footage diventa quindi un punto di partenza non solo tecnico ma anche tematico per arrivare a parlare del rapporto tra uomo e tecnologia. Un rapporto che può diventare quantomai malsano, portando l’individuo ad essere risucchiato in un altro mondo. Finendo per perdersi.
E questo fa più paura di qualunque mostro.
Luca Bovio