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An Béal Bocht / The Poor Mouth

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VOTO: 7

Una serie di sfortunati eventi… in gaelico

Le intersezioni con l’universo letterario sono aumentate notevolmente, in questa undicesima edizione dell’Irish Film Festa. E tra le parentesi più meritevoli va segnalato anche questo adattamento animato dell’unico romanzo che Flann O’Brien, sotto pseudonimo, volle pubblicare in gaelico, regalando così ai lettori una satira mordace e pungente dello stile di vita presente in alcune zone realmente depresse dell’isola, laddove anche le ostili condizioni climatiche sembrerebbero scoraggiare qualsiasi forma di ottimismo. Uno stile davvero caustico, quello di O’Brien, confluito qui in un ritratto dal sapore fortemente (auto)ironico, riferito per giunta alla stessa cultura popolare nella quale egli si trovava immerso. E alla Casa del Cinema questa salutare sfrontatezza è stata posta bene in evidenza dal professor John McCourt dell’Università di Macerata, chiamato per l’occasione a introdurre il corto, con un occhio alla sua derivazione letteraria e l’altro al linguaggio filmico adottato dall’eclettico regista Tom Collins.

Qui in An Béal Bocht / The Poor Mouth il cineasta irlandese sembra in effetti aver trovato la quadratura del cerchio, ossia un magico equilibrio tra l’umorismo a volte nerissimo del testo di Flann O’Brien e una sua rappresentazione iconica tendente al grottesco, resa inoltre ruvida ed efficace dallo stile narrativo rapsodico, ellittico, a tratti folgorante. In più o meno 35 minuti la difficile quotidianità di una delle zone rurali più selvagge dell’isola, con la monumentale bellezza del paesaggio a contrastare l’inclemenza degli elementi e la povertà delle abitazioni, viene descritta con evidente sarcasmo, ponendo in rilievo attraverso una serie di sfortunati eventi il grigiore che circonda, sin dalla nascita, il vissuto del protagonista. Un susseguirsi di sfighe che non potrà far altro che aumentare, fino agli ultimi anni destinati a passare addirittura dietro le sbarre! Tutto però con un gusto dello sberleffo che incanta. I tratti caricaturali con cui vengono rappresentati i villici ben si sposano con le loro disavventure, in cui fanno capolino persino maiali domestici quasi equiparati a famigliari, nonostante la tendenza ad asfissiare gli inquilini di casolari affollatissimi con qualche peto dai letali effetti. Ma il momento più emblematico di tutto l’irriverente cortometraggio, costellato di eventi tragici raccontati però con lo humour tipico di certe latitudini, è quello in cui viene allegramente dissacrata la riscoperta della cultura gaelica, con toni che rendono ancora più apprezzabile la visione autoironica di cui si nutre l’intero racconto.

Stefano Coccia

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