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Ammore e malavita

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VOTO: 7.5

Un film forse bello, sicuramente importante

Ambizioso e caratteristico, in Concorso alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia il nuovo film dei Manetti Bros. ha riscosso grande successo alla sua proiezione stampa, scandita da risate e scrosci di applausi lungo tutta la sua durata. Quel che è certo è che Ammore e malavita, scanzonato musical di ambientazione e idioma partenopeo, è un film per così dire “importante”: a prescindere da ogni gusto personale; infatti, si tratta di una vera e propria sfida, e qualsiasi prodotto rappresenti una sfida è poco meno di un toccasana per il cinema italiano attuale, da troppo tempo arroccato su lidi tranquilli e rassicuranti. Questo, a prescindere dai risultati di volta in volta conseguiti, è un dato di fatto.
La storia che racconta è semplice ma intrigante: don Vincenzo (Carlo Buccirosso), “o’ Re do pesce”, stufo di rischiare la vita a causa della sua attività malavitosa, con l’aiuto della moglie Maria (Claudia Gerini), inscena la propria morte sbarazzandosi di un individuo molto, molto simile a lui (inutile dire che è nuovamente interpretato da Buccirosso). Nessuno sarebbe dovuto venire a conoscenza della frode, senonché un’infermiera (Serena Rossi) ha la sfortuna di vedere con i suoi stressi occhi il defunto vivo e vegeto: e se sarà proprio Ciro, che in Serena riconoscerà le fattezze del suo amore storico, a doverla togliere di mezzo…dovremo aspettarci gli sviluppi più travolgenti. I Manetti Bros., sbocciati nel genere già nel 2014 con Song’e Napule (dove la musica neomelodica e il malaffare avevano già avuto un ruolo di primo piano), possono vantare uno stile proprio e riconoscibile, volutamente scarno e sbrigativo a livello scenografico e nella fotografia, e che risente del loro passato da registi di videoclip. È oramai accertato che la slow-motion (soprattutto durante gli scontri armati), gli zoom in, i rapidissimi stacchi di montaggio certifichino l’originalità di un prodotto Manetti bros. Ma Ammore e malavita, prima che un thriller improbabile e sopra le righe, è un musical: quanto ci viene raccontato funge (anche) da pretesto perché ben quindici canzoni prendano vita. Ora, quindici sono obiettivamente tante, e non tutte colpiscono allo stesso modo: ma come dimenticarsi del potentissimo brano d’incipit “Al mio funerale” (cantata dentro una cassa da morto), de “L’amore ritrovato” (esilarante adattamento di “What a Felling” di Flash Dance), della malinconica “O Sicondo”? Tenendo conto dell’ambizione del progetto e della sua natura low-budget, il bilancio finale non può che essere positivo, e al film possono essere perdonate anche delle sbavature che, riferite ad un prodotto standard e allineato, avrebbero giganteggiato: quei 20 minuti di troppo (già riscontrabili in Song e’ Napule) e certe svolte fin troppo rocambolesche, segno di un’ossatura narrativa un po’ debole e che alla lunga rischia di annoiare. Non si può soprassedere sulle interpretazioni del cast, che riesce a rendere credibile ciascun singolo personaggio anche nelle sue manifestazioni più kitsch: Claudia Gerini/Maria è sopra le righe esattamente quanto serve, Carlo Buccirosso/don Vincenzo è sempre perfetto nel deridere la piccolezza umana, e Serena Rossi dà prova di doti canore stupefacenti e inaspettate. Ammore e malavita è un film refrattario a definizioni precise e categoriali. L’unica cosa certa è che raggiunge il suo scopo: divertire a modo suo, un modo nuovo, giovane, e quindi interessante. Sia che piaccia sia che faccia storcere il naso, il nuovo film dei Manetti, in uscita il 6 ottobre, non deve passare inosservato. Ma è abbastanza prevedibile che non sarà così.

Ginevra Ghini

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